Disturbi d’ansia: la scoperta che potrà cambiare le cure

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Ansia (iStock)

Una nuova scoperta scientifica molto importante, che ci dice qualcosa di più sul funzionamento del cervello e che potrà portare a nuove cure. Si tratta della scoperta delle cellule dell’ansia, fatta dai ricercatori dell’Università della California di San Francisco e della Columbia University di New York.

Disturbi d’ansia: una scoperta eccezionale

Quella degli scienziati americani è una scoperta davvero eccezionale: hanno trovato nell’ippocampo del cervello le cellule responsabili dell’ansia. Si tratta di gruppi di neuroni che si attivano in presenza di situazioni minacciose e attivano comportamenti di autoconservazione, come la fuga.

I ricercatori le hanno chiamate le cellule dell’ansia e la loro scoperta potrà portare a nuove cure contro i disturbi d’ansia. Infatti, se questa condizione è normale e necessaria per reagire alle situazioni di pericolo, diventa però patologica quando si manifesta in assenza di rischi concreti e impedisce di vivere una vita normale.

È ancora presto per parlare di cure, perché la ricerca è stata condotta solo sui topi e bisogna ancora verificare che anche nel cervello umano si verifichi la stessa condizione, ma la scoperta fa ben sperare e in ogni caso è molto importante. I ricercatori sono giustamente entusiasti.

Si tratta di un risultato eccitante – ha detto Mazen Kheirbek uno degli autori dello studio – perché abbiamo scoperto una via neuronale rapida e diretta che porta gli animali a rispondere ai luoghi che provocano ansia, senza la necessità di coinvolgere regioni del cervello di ordine superiore“.

Le cellule dell’ansia scoperte nel cervello dei topi sono le prime ad essere legate ad uno stato di ansia indipendentemente dal contesto che provoca l’emozione.

I ricercatori hanno studiato cosa succede nel cervello dei topi in situazioni ansiogene, come essere posti su una piattaforma elevata. Hanno inserito nel cranio dei topi un microscopio miniaturizzato che ha consentito di monitorare l’attività di centinaia di cellule nell’aera dell’ippocampo, mentre gli animali si muovevano liberamente nel loro ambiente.

È stato scelto di studiare l’ippocampo, perché studi precedenti hanno dimostrato che si tratta della regione del cervello implicata nella regolazione dell’umore. Inoltre, proprio intervenendo nella parte ventrale  dell’ippocampo si può ridurre l’ansia.

Gli studiosi hanno accertato che quando i topi venivano esposti a situazioni ansiogene si attivavano cellule specifiche nella parte ventrale dell’ippocampo. Più gli animali sembravano ansiosi, più era elevata l’attività di queste cellule. I ricercatori hanno poi tracciato il percorso di queste cellule verso l’ipotalamo, l’area del cervello che controlla i comportamenti legati all’ansia, come la fuga, e le reazioni fisiologiche sempre legate all’ansia, come l’aumento della frequenza cardiaca e la produzione degli ormoni dello stress.

Per avere la conferma che queste cellule controllano i comportamenti ansiosi, i ricercatori hanno modificato geneticamente alcuni topi con tecniche di optogenetica, che permettono di accendere o spegnere i neuroni con un impulso luminoso. Questo ha permesso ai ricercatori di verificare che quando le cellule venivano “spente” i topi smettevano di avere comportamenti ansiosi, e non avevano più paura di cadere nel vuoto dalla piattaforma elevata, quando invece stimolavano le cellule dell’ansia i topi avevano paura anche in luoghi sicuri.

Si tratta di una scoperta molto importante che potrebbe rivoluzionare le cure dei disturbi d’ansia, se una struttura neuronale come quella dei topi fosse trovata anche nel cervello umano. Per molte persone si aprirebbero nuove possibilità di cura, più efficaci e mirate contro le cellule che provocano disturbi d’ansia.

Gli scienziati ora sono impegnati nello scoprire se questi neuroni sono diversi dagli altri a livello molecolare. Per esempio potrebbero essere dotati di un recettore sul quale si potrebbe intervenire con un farmaco specifico per ridurre l’ansia. Hanno spiegato i ricercatori.

Lo studio dei ricercatori dell’Università della California e della Columbia University è stato pubblicato sulla rivista scientifica Neuron. Ne ha parlato anche la rivista Le Scienze.

Che ne pensate unimamme? Non è una scoperta straordinaria?

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