E se vittima dei bulli non fossero i ragazzi a scuola, ma gli adulti al lavoro?

Se andare a scuola diventa un incubo, come farlo capire agli adulti che a scuola non vanno piu’?

Ai miei tempi non è che fossi proprio una delle studentesse più popolari, diciamo che ero più una Rachel Berry prima del Glee Club. Quando frequentavo la scuola, però, non c’erano internet, né tanto meno facebook e twitter, per non parlare degli smartphone. Insomma era tutto più semplice: se uno voleva dirti che gli stavi antipatico, al massimo ti mandava un bigliettino con scritto “sei uno str…” e la cosa finiva lì. L’insulto rimaneva confinato tra te e lui. Ora invece, lo sanno tutti.

Purtroppo il cyberbullismo, e il bullismo in generale a scuola sembrano inarrestabili: secondo un articolo riportato da Il Giornale, ne è vittima un ragazzo su due.

E sono allarmanti anche i dati riportati dai corsi di formazione attuati in 19 istituti professionali di Milano realizzati dall’Ordine degli Avvocati e dalla Provincia. Secondo gli studenti infatti:

  • Per un adolescente su quattro è legittimo «dare un pugno a qualcuno per far valere un proprio diritto»
  • E’ considerato ammissibile «rubare oggetti di poco valore nei negozi», «mentire in tribunale per difendere un amico» o «guidare senza patente».
  • Il 40% non pensa sia reato «scrivere sui muri»
  • Reputano del tutto naturale «insultare un vigile urbano troppo fiscale»
  • Solo il 16% considera invece l’onesta un valore importante.

Inutile dire che questi dati parlano da soli, ma che cosa si può fare?

Oltre a seguire un decalogo a cui far ricorso se si è vittime o se si conosce qualcuno che lo è, si può continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica su questo grave problema che coinvolge i giovani.

Come al solito l’idea non è venuta qui in Italia, ma in Francia dove un’agenzia di pubblicità francese Télécréateurs  ha ideato uno spot contro il bullismo in cui il protagonista non è un bambino, ma un uomo già maturo, che subisce continue angherie e soprusi sul luogo di lavoro.

La pubblicità termina con la domanda: “ Un giorno di lavoro non è così. E un giorno di scuola?“.

Perché bisogna ricordarsi: non sono solo “ragazzate“, occorre che per primi noi adulti si comprenda e si faccia qualcosa!

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