Povera patria: via dall’Italia prima dei vent’anni

Sono appena finiti gli esami di maturità, questo significa che moltissimi adolescenti si affacciano ad una nuova fase della loro vita, quella legata all’università e alle scelte che li condurranno verso l’età adulta determinando il loro futuro.

La situazione politica ed economica del nostro Paese, non essendo delle migliori, determina un grande mutamento dei costumi, perciò laddove una volta ci si laureava e si trovava un lavoro preferibilmente vicino casa, oggi ancora prima di arrivare alla laurea si va via, si va a studiare all’estero.

Secondo un articolo del Corriere della Sera i ragazzi oggi non aspettano di finire l’università, ma da subito con l’aiuto economico dei genitori per chi può permetterselo, oppure avvalendosi di borse di studio, chiedono di poter accedere alle università straniere, consapevoli che una volta finito il corso di studi, avranno la possibilità di vedersi offrire dei lavori in linea con la propria preparazione e meglio retribuiti che in Italia.

Di per sè, il fatto che i ragazzi si dirigano all’estero a studiare indica sicuramente che è in atto nel nostro Paese una progressiva sprovincializzazione, che è sicuramente positiva perché va di pari passo con il sentirsi parte di una comunità come la Comunità Europea, che diventa un campo d’azione più ampio per poter lavorare, vivere e cercare un futuro; dall’altra parte però alla cosiddetta fuga dei cervelli italiani verso le nazioni straniere non corrisponde l’entrata nel nostro Paese di cervelli stranieri che contribuiscano al progresso dell’economia o degli altri settori produttivi.

Tuttavia è importante anche sottolineare che l’università italiana non è affatto qualitativamente più scarsa rispetto alla qualità che offrono gli atenei che si trovano all’estero, e che anche gli studenti stranieri valutano positivamente la loro esperienza presso le università del nostro Paese.

Quindi resistiamo sul piano qualitativo, ma non siamo  in grado di offrire lavoro agli studenti che formiamo, non siamo il loro eventuale mercato d’azione e nel frattempo rimaniamo indietro rispetto agli altri paesi perchè non investiamo, incitando i giovani a trasferirsi altrove.

Quando questo diventerà un problema reale per la politica? Quando saremo in grado di impiegare il genio italiano a favore del nostro Paese? Quando diventeremo una meta ambita per chi anche da fuori  voglia essere impiegato in Italia?

A parte le scelte dei singoli che possono essere giustamente legate all’esigenza di fare esperienza all’estero, è mai possibile che per lavorare compatibilmente con le proprie capacità e ricevere uno  stipendio congruo si debba espatriare?

Questo il grande paradosso che vive una generazione che è stata per anni incitata allo studio, all’approfondimento per poi ritrovarsi ad essere di troppo per il suo stesso Paese di appartenenza.

Purtroppo qualcosa non ha funzionato e ora chi si fa queste domande trova le risposte altrove…

Impostazioni privacy