L’imperativo che non serve: lettura e bambini

Bambina di 6-8 mesi sorridente con libro

In Gran Bretagna il Ministero della Pubblica Istruzione ha avviato una campagna per avvicinare i bambini alla lettura.
Secondo gli studi più recenti un bambino che legge per propri piacere personale ha una carriera scolastica migliore. “Si è notato, per esempio, che questa buona abitudine è un fattore più influente nel determinare il successo scolastico del bambino, dello status socio-economico della famiglia.” Così sintetizza l’articolo di Libreriamo dedicato alla relazione tra lettura dei bambini e la scuola.

Questa la notizia, e possiamo sicuramente metterla tra le “buone notizie“. Ma un dubbio rimane: come si insegna a leggere? Ricordo un brano di un libro di Pennac, dedicato alla lettura, che diceva: “Il verbo leggere non sopporta l’imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo “amare’… il verbo “sognare”… Naturalmente si può sempre provare. Dai, forza: “Amami!” “Sogna!” “Leggi!” “Leggi! Ma insomma, leggi, diamine, ti ordino di leggere!” “Sali in camera tua e leggi!” Risultato? Niente.”

Il libro in questione è “Come un romanzo”, in cui un papà, un papà lettore e professore di lettere, si chiede perché suo figlio non legga. Perché proprio suo figlio non ci pensa nemmeno a finire quel libro che “dovrebbe amare”? Eppure da piccolo lo faceva? E poi?
La televisione? Ancora, questa storia del secolo delle immagini, si ripete il papà seccato. No, non è la televisione il male, il libro permette altri viaggi.

E allora, come recuperare la magia della lettura? In un lungo dialogo con se stesso, l’autore fa un viaggio intorno agli stereotipi della lettura che “deve servire a” … il cui valore non si mette in discussione, proprio come i dogmi. Ma quale adolescente non mette in discussione i dogmi? 

E così riflette: Bisogna leggere, bisogna leggere… E se invece di esigere la lettura il professore decidesse improvvisamente di condividere il suo personale piacere di leggere? Il piacere di leggere? Che roba è questa, il piacere di leggere? Domande che infatti presuppongono un gran bell’esame di coscienza! E per cominciare l’ammissione di una verità che si oppone radicalmente al dogma: la maggior parte delle letture che ci hanno modellati non le abbiamo fatte per, ma contro.”

Chiunque sia stato un bambino lettore e poi adulto lettore lo sa: sa che ogni pagina di ogni libro letto per se stessi ha in sé qualcosa di rivoluzionario. Qualcosa contro le cose giuste da fare, da ascoltare e anche da leggere. Allora forse un modo per insegnare a leggere è raccontare il potere rivoluzionario che possiede questo “viaggio verticale” che è la lettura.

Leggere perché si ama farlo, non perché serve, non perché è utile.

Nel programma del Ministero, introdotto in Gran Bretagna, si suggerisce di far conoscere alcuni brani di libri per far crescere la curiosità o far conoscere il legame, ad esempio, tra Twilight e Dracula.

Ottime idee sicuramente, alle quale aggiungerei il decalogo del lettore di Pennac  e i suoi diritti imprescrittibili, ed anche una frase che mi ha regalato un giovane autore italiano, Paolo Di Paolo. Paolo di Paolo ha scritto, tra le altre cose, un bellissimo libro intitolato: “Dove siamo stati felici”. E in questo caso quel “dove” si riferisce proprio alle pagine di un libro. Una frase di John Irving: “Vai più piano, William. Assapora, non ingozzarti. E quando ami un libro, scegli una frase significativa e imparala a memoria. Così ricorderai per sempre il linguaggio della storia che ti ha commosso.”

Ecco, riuscire a condividere questo tipo di piacere, questo tipo di felicità (piccola si dirà, ma ne siamo certi?) è un modo per raccontare il senso della lettura ai bambini. Non per insegnare ai nostri bambini ad essere primi a scuola, non è questo lo scopo ultimo, ma, se possibile, per insegnare loro un modo di trattenere attimi di felicità

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