Una mamma vittima di violenza ostetrica combatte per ottenere giustizia

Durante il parto una mamma vorrebbe essere assistita adeguatamente e aiutata nel momento più magico e dedicato di tutta la sua vita, sicuramente non costretta a procedure e interventi medici contro la sua volontà.

locandinaEppure si tratta di un fenomeno che capita sempre più spesso, tanto che in Venezuela, Messico e Argentina esiste il termine legale di violenza ostetrica.

Mamma affronta una violenza ostetrica durante il parto

Ne è un esempio la sfortunata storia della signora Caroline Malatesta che si è fatta attirare dalla pubblicità di un ospedale che prometteva autonomia, vasche per il parto, confortevoli suite e un piano di nascita personalizzato, ma non ha trovato niente di ciò che le era stato promesso.

Invece si è dovuta confrontare con trattamenti medici aggressivi, che le hanno lasciato traumi fisici e psicologici. “La mia vita sessuale è andata, vado in terapia e assumo farmaci per il dolore e per gli attacchi di panico” ha raccontato la donna a Yahoo.

Un’altra donna, invece, è stata costretta a un parto cesareo dalla sua ostetrica. La sua storia è stata raccontata in un progetto fotografico dal nome: Exposing the silence.

Cristen Pasucci, che ha promosso il progetto ed è dietro a Improving Birth sostiene che spesso sono le operazioni di marketing degli ospedali a promettere qualcosa di irrealistico.

Anche Michele Giordano, direttore esecutivo di Choices in childbirth, un gruppo che patrocina cause di questo tipo, ha espresso il suo sdegno per la situazione in un post su Facebook che ha ricevuto 1200 like. “Sperimentare il parto a modo tuo richiede qualcosa in più di cartelloni pubblicitari orecchiabili e vistose campagne di marketing. Richiede un team il cui programma è quello di aiutare la partoriente. Richiede medici, ostetriche, infermiere, doula che mettano da parte quello che vogliono e si concentrino solo su ciò che è meglio per la mamma, il bambino e la loro famiglia “. 

Per esempio a Caterine Malatesta era stato assicurato di poter usufruire delle vasche in ogni stanza, mentre il medico le aveva dato sostegno nel suo desiderio di partorire in modo naturale.

Arrivata però in ospedale nel mezzo del travaglio quel medico non c’era e nessuno pareva sapere qualcosa sul piano del parto, libertà di movimento o tutto ciò che aveva richiesto.

Continuavo a chiedere perché dovessi stare sulla schiena mentre volevo muovermi ma l’ostetrica mi ignorava, mentre ribattevamo l’un l’altra, io facendo domande e lei rispondendo irritata è stato chiaro che non si trattava di potere o sicurezza. Si trattava di una lotta di potere”.

In modo particolare, al momento del parto, le infermiere hanno impedito al figlio di nascere per 6 lunghi minuti provocando alla danno un danno permanente, la nevralgia del pudendo, che le causa forti dolori quotidiani.

“Come se il parto non fosse già abbastanza difficile ho partorito mentre lottavo con delle persone di cui mi fidavo per prendersi cura di noi” ha aggiunto la donna.

Inizialmente Caterine era incerta se prendere seri provvedimenti come una causa legale “ero preoccupata che le persone pensassero che fossi eccessivamente drammatica, perché non è socialmente accettabile lamentarsi del parto se hai avuto un figlio sano. La parte più difficile è stata quella di sedere durante le deposizioni come spettatrice passiva e ascoltare le persone cercare di giustificare le loro azioni davanti al mio chiaro rifiuto, è stato inquietante sentire infermiere e amministratori credere sinceramente di avere diritti sul mio corpo”.

Amy Beard del Brookwood Women’s Service dove Caterine ha partorito dichiara “alcuni pazienti scelgono cose che non sono sicure per loro stesse e i bambini, ma l’ospedale dovrebbe essere preparato a consentire alle donne di partorire secondo le promesse fatte”.

Ad ogni modo Giordano si chiede perché questi ospedali promettano cose che poi non mantengono e di chi sia la responsabilità. “Penso che tutto questo sia poco chiaro e finché sarà così continueremo a udire queste storie”.

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