Papà e basta: non c’è differenza tra genitore biologico e genitore adottivo

Non è per via del sangue, ma per via del cuore che siamo padri e figli”.

Friedrich Schiller

Un papà con sua figliaSono tante le frasi e le parole che oggi si possono dedicare ai papà. La frase di Schiller però ricorda a tutti noi le radici vere di ogni affetto autentico.

Ma le vie dei cuore sono sempre semplici? Parlare di paternità è sempre una sfida ai luoghi comuni, parlare di paternità adottiva forse lo è ancora di più. Esistono in rete molti siti che aiutano i genitori nel lungo percorso che porta all’incontro con il proprio bambino, luoghi di confronto per tutti quei genitori, e quei figli, che condividono una storia comune.

Forse per rispettare la specificità di una famiglia adottiva, e quindi anche di un papà adottivo, è giusto comprendere alcune caratteristiche, come si legge nel libro di Loredana Paradiso “Prepararsi all’adozione. Le informazioni, le leggi, il percorso formativo personale e di coppia per adottare un bambino: L’adozione è un’esperienza che si costruisce sulla rottura delle relazioni affettive, sulla separazione e sulla costruzione di legami di attaccamento con figure importanti (i genitori adottivi per il bambino) o immaginarie (il figlio desiderato per i genitori). La specificità della famiglia adottiva risiede, quindi, nell’integrazione di storie familiari diverse di cui una, quella del bambino, ha subìto un’interruzione sul piano relazionale e giuridico, mentre l’altra, quella del genitore ha affrontato la modificazione di un progetto di vita“.

Una specificità che non aggiunge o non sottrae nulla all’affetto che lega la nuova famiglia, ma che nasce su basi differenti: I genitori e i bambini adottivi costruiscono la propria relazione da una discontinuità di affetti.

Le parole trovate su Fondazione Promozione Sociale ci hanno aiutato a fare chiarezza su cosa sia oggi una famiglia adottiva. “L’aggettivo “adottivo” non va applicato né al genitore, né al figlio, ma esclusivamente alla na­scita, cioè al modo di incontrarsi. Non è una sottigliezza linguistica, questa è la condizione necessaria a far sì che il genitore si assuma fino in fondo la propria responsabilità – nel bene e nel male – senza far risalire e delegare all’aggettivo “adottivo” la responsabilità di tutto quello che può succedere, sempre nel bene e nel male. Altrimenti le piccole o grandi difficoltà di rap­porto che tutti i genitori incontrano con tutti i figli verranno imputate al fatto di non averlo genera­to, a quell’evento ineludibile contro cui non c’è nulla da fare. Anziché sforzarsi di risolverle sa­ranno date per scontate, vissute come una con­danna inevitabile e lasciate incancrenire.”

E oggi come è una famiglia adottiva? “È una famiglia senza aggettivi, fatta di genitori e figli “veri”, non eccezionali. Ed è una famiglia “chiara” in cui il racconto della nascita adottiva circola liberamente all’interno e può essere por­tato all’esterno senza vergogna e senza ostenta­zione. Essere in grado di accogliere dentro di sé, trasmettere al figlio e far circolare all’esterno la storia dell’origine adottiva della famiglia (che potremmo definire la “verità narrabile”) è l’indi­catore più attendibile del fatto che è nata “una famiglia vera, senza aggettivi”.”

Perché come ci ricorda nelle conclusioni di questa utile Relazione (tenuta al convegno nazionale “II diritto del bambino alla famiglia – I doveri delle istituzioni e della so­cietà”, Milano, 21-22 maggio 1993. Organizzato dal Coor­dinamento nazionale per la difesa e la piena attuazione della legge 184/83 “Disciplina dell’adozione e dell’affida­mento dei minori”): “Non c’è niente di scontato nella genitorialità: la si conquista giorno per giorno, sia essa biolo­gica o adottiva, perché tutti i figli vanno “riadot­tati” ogni mattina.”

E nell’amore e nella fatica di quelle mattine,  tutti i papà sono, inevitabilmente, uguali.

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