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Scuola

“Che tipo di mamma sei?”: alla disperata ricerca di un metodo educativo

Published by
Michele

E dopo la domanda “Che mamma sei ?”, arriva inevitabile quella sul come sei. Ossia sul metodo educativo.
E sì perché appena riesci a stringere, ancora incredula, il bimbo a te, ecco che il “coro” riparte: “E che lo tieni sempre in braccio?” Guarda che poi si vizia.”
Oppure: “Non senti che piange?? “Ha fame, lo vuoi far soffrire!?”.  
Per non parlare del mitico “Istinto della madre” che dovrebbe palesarsi in te qual luce guida e dirti sempre cosa è giusto e sbagliato, in barba ad ostetrici, pediatri, specialisti ecc…
So che deluderò ma io non ho mai sentito questa voce roboante.
Forse perché mi viene in mente la scena di Mosè ai piedi del Monte Sinai e le Tavole delle Legge e quindi non mi vedo ancora con barba bianca…ma tant’è che la voce non è arrivata.

Nei nove mesi di attesa ho letto qualsiasi cosa potesse aiutarmi. O almeno lo pensavo. Dai libri agli articoli, dai trafiletti in corredo ai ciucci, a tutti i forum a disposizione.
Quasi tutti… E se è vero che la cultura è ciò che rimane dopo che si è dimenticato tutto, posso dire che per me è lo stesso anche quando si è mamme.

Regole, orari, brodo vegetale, allattamento a richiesta o meno, co-sleeping e coliche gassose! Argomenti su cui si trova proprio tutto e il contrario di tutto. E mentre leggevo o ascoltavo passavo con disinvoltura dal cipiglio altero della signorina Rottermair (e chi se la scorda quella!) al sorriso rilassato di un’autentica mamma stile “Hair” anni ’70 tutta Peace&Love. E ogni volta ero convinta di aver trovato la mia strada.  Non l’ho ancora trovata.

Ma ci sono tre “voci” che mi fanno da guida:

1- Siamo l’unica specie di mammiferi che non fa figli, almeno comunemente, da adolescenti. Non è un’esortazione a farli prima possibile. No. Solo una constatazione che da adolescenti si hanno più energie a disposizione.
Quanto è vero …Me lo ripeto quando le energie sono poche.
Me lo ricordo quando, come per magia e anche a quarant’anni, le energie le trovo.

2- Ricordarmi sempre di quando ero io bambina.
Cosa mi rendeva felice o no. Cosa era importante, direi fondamentale, e cosa no. Non perché i nostri figli siano uguali a noi ma perché è un modo “altro” di pensare. E riportare alla memoria come eravamo da bambini ci rende genitori più pronti all’ascolto. Per essere genitori imperfetti ma passabili. Almeno provarci!

3- Non si deve fare tutto subito. Si cresce insieme. Non devo sapere ora che vestito si metterà alla festa della sua migliore amica, né come raccontarle il primo bacio. Crescerò con lei, se sarà possibile.

Procedere un passo alla volta. Scegliere in base alla situazione di volta, in volta. Vuol dire ascoltare, dove è possibile, la voce del bambino e la tua. Le esigenze reciproche.

Se sono passate due ore e 45 minuti e pensi che pianga per fame, forse è giusto non aspettare tre ore. Mettendo in conto che si può anche sbagliare, ma non si è fatto nulla di irrimediabile. Se dorme con te finché allatti, e la stanchezza può vincere tutti, pazienza non si sta facendo torto a nessuno. La notte dopo ci si può sempre riprovare, se si vuole.

Ascoltare la propria voce e quella del bambino fin dove è possibile. Non aspettandosi che sia quella voce che “tutto sa”. Ma una voce pronta a contraddirsi il giorno dopo. Ricredersi se necessario.  Una voce meno roboante, ma pronta a mettersi in discussione.

Forse più della voce, per me, nel mio personalissimo “metodo” conta la capacità di rimanere in ascolto. Di rimanere “orecchio”.

E voi unimamme la pensate così?

Michele

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