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Categoria News

Il nostro albero genealogico è prezioso per la ricerca genetica

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Maria Sole Bosaia

Scoprire chi fossero i nostri antenati, fare un tuffo nel passato più remoto, grazie a internet e i miglioramenti nel campo della genealogia ora è molto più facile.

Di recente lo scienziato Yaniv Erlich in occasione dell’incontro annuale dello Human Genetics  dell’American Society, ha presentato un nuovissimo strumento per comprendere quanto realmente i  geni contribuiscono alla formazione di alcuni tratti ereditari.

Si tratta di un immenso albero genealogico comprendente ben 13 milioni di individui e che affonda le sue radici fino al 1500.

I dati provengono da portali online di genealogia, e questo immenso archivio raccolto da Erlich e dal suo team del Whitehead Institute in Cambridge, Massachussets, ora è a disposizione anche di altri ricercatori, privo però dei nomi delle persone coinvolte per ovvie ragioni di privacy.

Vediamo un po’ quali possono essere i benefici di una simile scoperta:

  • la genealogia può fornirci alcuni indizi circa l’ereditarietà genetica,
  • comparando un individuo ai suoi lontani parenti si può scoprire la frequenza nei cambiamenti di alcuni aspetti come la fertilità,
  • si può stabilire se alcuni tratti specifici siano determinati da pochi geni dominanti o da molti geni che danno a loro volta un piccolo contributo.

L’aspetto meno allettante di una simile ricerca è che per assemblare solo un centinaio di dati, occorrono anni. In passato ad esempio si usavano gli archivi delle parrocchie e l’intraprendenza dei volontari.

Per snellire il processo Erlich e i suoi hanno deciso di procedere diversamente:

  • prendendo informazioni su più di 43 milioni di individui attraverso il sito geni.com
  • i dati includono data di nascita, morte, ubicazione
  • i dati rielaborati vengono organizzati secondo gli alberi genealogici delle famiglie che comprendono sia poche centinaia di persone, sia quello record di 13 milioni di persone.

Nonostante la promettente ricerca, c’è chi ci va cauto con l’entusiasmo. Ad esempio Lisa Cannon Albright, genetista presso l’Università dello Utah a Salt Lake City, invita alla prudenza.

“Tutti vorrebbero risalire alle loro radici, ma oltre un certo limite di datazione, gli elementi raccolti perdono di credibilitàdichiara la scienziata. Lei stessa, approfittando dell’incontro di Boston, ha presentato un proprio studio riguardante il cromosoma Y, trasmesso di padre in figlio e che potenzialmente può nascondere in sé una maggior o minore propensione al cancro alla prostata. Inoltre, sempre la Albright ha anche lanciato un nuovo programma per unire i dati genealogici agli archivi medici del Veterans Health Administration.

Entuasiasta dell’approccio usato da Erlich invece è Kári Stefánsson, il fondatore dell’azienda deCODE di Reykjavik, che ha usato i dati genetici della popolazione per individuare un’infinità di tratti dominanti, incluse le malattie ricorrenti. Secondo lui le persone saranno sempre pù propense a contribuire rilasciando i propri dati sia personali che medici.

Insomma, una nuova frontiera è stata oltrepassata. E voi che ne pensate?

Maria Sole Bosaia

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