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Ecco cosa provano i bambini rifugiati (VIDEO)

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Valentina Colmi

Nei paesi dove c’è  la guerra – come sempre – a farne le spese sono le vittime innocenti, ovvero i bambini, privati non solo dei genitori, ma anche di un’esistenza normale. Cose che per noi sono assolutamente ovvie come il gioco o andare a scuola diventano ogni giorno un ostacolo per chi non ha più nulla.

Cosa significa essere bambini rifugiati

A raccontare le condizioni di questi bimbi nel Kurdistan Iracheno è la dottoressa Muhammad che parla dei 135mila minori rifugiati in Iraq, dopo essere scappati dalla Siria.

Domiz 2 – il campo per rifugiati secondo dopo il Domiz 1 ormai al collasso – vede una realtà in cui in molti vivono ancora nelle tende. Non ci sono strade, non esistono le fognature. Quando piove il fango arriva ovunque. Per i bimbi è difficile trovare uno spazio per giocare; spesso i bambini non sanno perché si trovano in quelle condizioni e fanno fatica ad esprimere ciò che provano. Non riuscendo a giocare in queste situazioni, si perde un momento fondamentale dell’infanzia.

I terapeuti che seguono i bimbi usano allora proprio il gioco come terapia. “Ci aiuta ad identificare disordini da stress post-traumatico: da come un bambino si relaziona con i suoi coetanei, da come disegna, da quali giochi preferisce, capiamo moltissime cose” dice la dottoressa.

I bimbi soffrono di nervosismo e solitudine, anche perché le famiglie sono preoccupate su come sopravvivere. Ecco allora che i disegni vedono come protagonista la scuola: un ambiente che richiama la normalità e soprattutto un diritto all’essere bambini.  “Evidentemente a scuola si sentivano felici e ricrearla attraverso i disegni, la fantasia, diventa un modo per evadere da un ambiente respingente o dalle liti familiari“, spiega la dottoressa.

Pur essendo così piccoli, i ricordi di questi bambini sono comunque molto pesanti: la paura più diffusa è quella dei temporali, perché la pioggia è amplificata dalle tende e ricordano così i bombardamenti. Questi sono bambini che hanno bisogno di ascolto, di incoraggiamento e di essere trattati con affetto. Necessitano di spazi per il gioco, di scuole, di luoghi dove inventare delle storie. Per questo la onlus Un Ponte per” opera in queste zone per cercare di restituire un po’ di normalità. Perché solo con la normalità si può sperare di avere un’idea di futuro.

Allora perchè non sostenere le attività di questa associazione, che destina ben il 90% alle attività e si trattiene solo il 10% per le spese di amministrazione? Si aiutarebbero tanti bambini a ritrovare un poco di quella serenità che hanno perso. I modi sono tanti:

E voi unimamme, cosa ne pensate?

Valentina Colmi

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