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Attualità

La mamma di un assassino di Columbine scrive un libro e lancia un appello

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Maria Sole Bosaia

Alla soglia del 17° anniversario della strage di Columbine avvenuta il 20 aprile del 199, presso la Columbine High School del quartiere di Littleton di Denver, in Colorado, Sue Klebold, madre di Dylan, uno dei due assassini che uccisero 13 persone e ne ferirono 24 in quel tragico giorno, ha deciso di pubblicare un libro sull’accaduto.

A Mother’s Reckoning: Living in the Aftermanth of a Tragedy racchiude il racconto della strage dal punto di vista della donna, che all’epoca teneva un diario e i 39 successivi in cui Sue Klebold ha dovuto affrontare le conseguenze delle gesta del figlio.

Strage di Columbine: parla la madre di Dylan

Davanti alla scelta di dare alle stampe questo volume sorgono numerosi e legittimi interrogativi. Innanzitutto bisogna subito chiarire che tutti i proventi saranno devoluti alle organizzazioni per la prevenzione del suicidio.

Scopo di Sue Klebold inoltre sarebbe quello di aiutare genitori in difficoltà in qualsiasi modo e impedire che una tragedia simile si ripeta.

Nel suo libro la donna ammette con sincerità che il figlio, autore della strage insieme ad Eric Harris, ed etichettato poi come un “mostro” era un adolescente come tanti, riservato, ma anche affettuoso, che aveva dato solo qualche lieve problema ma che sembrava essersi rimesso “in carreggiata”.

Dalla sua prospettiva suo figlio non corrispondeva allo stereotipo dell’adolescente emarginato, violento. Partecipava alle attività scolastiche e, poco prima del giorno fatale, aveva visitato l’University of Arizona dove sarebbe dovuto andare.

Nei giorni, mesi, anni successivi alla strage Sue Kebold ha cercato di scoprire la verità sulla personalità del figlio, cercando disperatamente un perché.

In tutto l’orrore, l’angoscia e la vergogna che si sono riversati su di lei questa mamma ammette di aver provato rabbia verso il figlio solo vedendo i “filmati del seminterrato”, i video di addio dei due giovani poco prima degli omicidi e Dylan diceva che quella vita “non gli piaceva molto”.

Come molte mamme questa donna pensava di conoscere il figlio che aveva messo al mondo, scoprendo però che gli ultimi anni di quel ragazzo che viveva sotto lo stesso tetto erano stati intrisi di rabbia e depressione.

“Io credo che Dylan fosse vittima di qualsiasi cosa avesse in testa” arriva a dire la donna.

L’orribile atto di Dylan e di Eric non ha distrutto solo vite innocenti, promesse di futuri radiosi e il cuore dei famigliari di quanti sono caduti sotto i loro colpi, ma anche la stabilità della sua stessa famiglia.

I Klebold hanno dovuto affrontare 36 cause legali intentate contro di loro e sono stati costretti a trasferirsi, a vivere nell’angoscia che dietro a qualunque gesto di gentilezza apparente si nascondesse una ritorsione.

Nonostante Sue e il marito fossero “contro le armi”, il loro esempio niente ha potuto contro l’influenza di Eric Harris. Tempo prima i due erano stati scoperti a rubare attrezzature elettroniche, ma benché l’amicizia tra questi ragazzi non fosse vista di buon occhio da mamma Klebold, niente le aveva fatto intuire una svolta tanto drammatica e definitiva.

“Se sono al supermercato e vedo dei ragazzi penso sempre ai morti, ai giovani uccisi, all’insegnante”. 

Anni dopo la fine delle cause legali i Klebold incontrarono 3 dei genitori dei ragazzi morti. “Abbiamo pianto, condiviso foto e parlato dei nostri figli. Quando ci ha salutato ha detto che non ci riteneva responsabili”.

Da questo dramma Sue Klebold ha trovato la forza di cercare di fare qualcosa per gli altri, incontrando la famiglia di persone che si sono suicidate o avevano ucciso qualcuno, interessandosi ai problemi di salute mentale.

“La maggior parte delle persone che hanno vissuto un episodio del genere in famiglia odiano ciò che quella persona ha fatto e ne sono umiliate” racconta Sue.

Sue Klebold e il suo editore sperano comunque che ai lettori arrivi il loro messaggio, che è quello di cercare, in tutti i modi di ascoltare i figli, di provare a intuire i loro messaggio nascosti, anche quando sono sfuggenti o a parole dicono che “va tutto bene”.

“Questo è il vostro incubo peggiore. Rendersi conto di non sapere cosa pensano i vostri figli adolescenti e che potreste non sapere che sono nei guai”.

Unimamme sicuramente le toccanti parole di questa madre dovrebbero indurci a riflettere e pensare al tipo di dialogo che instauriamo con i nostri figli, qualunque età essi abbiano.

Com’è il vostro rapporto coi figli? Si confidano con voi?

Noi vi lasciamo con uno studio sul cervello degli adolescenti.

 

 

Maria Sole Bosaia

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