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Scuola

“Ho denunciato una mamma”: l’appello di una mamma con il “cuore pesante”

Published by
Maria Sole Bosaia

Tutti i genitori aspirano ad essere e a dare il meglio per i loro bimbi, ma nessuno è perfetto.

La mamma Megan Orr Burnside ha deciso di condividere un’esperienza della sua vita risalente a quando ha chiamato la polizia per una mamma che stava lottando con il figlio di 10 anni.

“Ho qualcosa che mi pesa sul cuore questa mattina.

Qualche anno fa mi trovavo in Tennessee con mio marito per un evento di allenamento. Eravamo a una stazione del gas quando abbiamo visto una donna con un bambino di 10 anni che lottava per metterlo in macchina.

Lui gridava e lei era arrabbiata e frustrata. L’abbiamo vista metterlo in macchina e poi c’è stata una lotta fisica.

Sembrava che lei lo stesse picchiando quindi abbiamo chiamato la polizia.

Loro sono arrivati e noi siamo andati via. Poi abbiamo ricevuto una chiamata in cui ci spiegavano che il bambino era autistico e che lei lottava con lui e che in passato aveva chiesto l’aiuto della polizia per gestirlo perché era molto violento.

Loro hanno detto che l’avevano aiutata e che lei faceva quel che poteva.

Mi sono sentita sopraffatta dal mio errore. Nella mia inclinazione a proteggere il bambino ho trascurato di offrire aiuto alla mamma.

L’ho girata alle autorità. Ci siamo seduti, l’abbiamo vista lottare e abbiamo chiamato la polizia. Mi sento colpevole ancora a distanza di anni per il fatto di non essere uscita dall’auto e averle offerto aiuto.

Se l’avessi aiutata in quel momento non ci sarebbe stata altra violenza.

Andando avanti di qualche settimana ero in un negozio di risparmi e una mamma con 2 bambini era in coda per pagare.

Il piccolo faceva i capricci e il maggiore chiedeva alla mamma di comprare qualcosa. Lei era arrabbiata ed esplosiva verso entrambi, l’intero negozio li guardava. Le persone rimanevano lì e la osservavano lottare sulla linea. Io mi sono ricordata l’esperienza in Tennessee e mi sono fatta avanti per parlare con il bambino piccolo e ho posato una mano sul suo piede. Lui si è calmato.

La mamma era stanca e si è scusata. Mi ha spiegato che lavorava di notte e che di giorno stentava a pensare. Sapevo che c’erano anche altre cose, ma al momento le ho spiegato che capivo come ci si sentisse ad essere sopraffatti.

Le ho detto che era una brava mamma. Le ho detto che tutto sarebbe andato a posto. Lei si è messa a piangere. Ha pianto ragazzi mentre tutti la osservavano lottare con quel peso.

Anni prima avrei osservato con il telefono a portata di mano per vedere se avesse fatto qualcosa da segnalare.

So che c’è un posto in cui le autorità entrano in gioco, ma sento che siamo diventati una cultura che guarda gli errori invece delle possibilità di aiuto. Siamo diventati più separati e inclini a condannare invece di essere compassionevoli, amorevoli e di aiuto. Se aiutassimo di più dovremmo chiamare di meno le autorità.

Questo mi è venuto in mente oggi perché qualcuno ha chiamato i servizio sociali per abuso per una mia amica.

Io ho trascorso molte ore in casa sua e lei è il genere di mamma che vorrei essere. Ho osservato l’amore e la pazienza con cui aiuta i figli a fare i compiti e il modo in cui li ascolta raccontare delle storie.

Io aspiro davvero ad essere come lei. Quando le autorità sono state chiamate da qualcuno che non dubito stesse pensando di aiutare, lei era molto malata con una infezione respiratoria.

Non so cosa abbia osservato questa persona pensando che fosse un problema.

Magari i bambini stavano correndo in giro senza supervisione. Forse un genitore non gli stava dando da mangiare e loro si stavano arrangiando da soli? Sono triste che questa persona che ha chiamato le autorità non le abbia chiesto come poteva aiutare.

Ora è il momento di smettere di giudicare gli altri e cominciare ad aiutarli o continueremo a perpetrare l’isolamento, la depressione, le dipendenze, la violenza, il suicidio.

Quando le persone sono sopraffatte hanno bisogno di aiuto, non di condanna. So di essere colpevole per aver fatto questa cosa e vedo chiaramente come probabilmente ho perpetrato il problema invece di aiutare a sollevare ed assistere gli altri.

Sono grata per i ricordi (anche quelli dolorosi) che mi fanno riflettere sul fatto che non siamo separati, che non siamo diversi. Il vero cambiamento arriva quando diamo amore e aiuto, non condanna”.

Unimamme, voi cosa ne pensate di questo messaggio pubblicato su Facebook?

Il post ha ricevuto più di 18 mila Like e altrettante condivisioni, diventando virale.

Voi cosa avreste fatto al suo posto?

Noi vi lasciamo con una mamma a cui un esperto ha detto che era brava perché i suoi bambini piangevano.

Maria Sole Bosaia

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