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Le scuole migliori non sono quelle senza disabili e stranieri

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valeria bellagamba

 

È aperto il dibattito su quali siano le scuole migliori in Italia e come operino. Le esigenze di apprendimento e di formazione oggi sono in forte evoluzione. La società sta cambiando velocemente e anche la scuola si deve adeguare, affinché la formazione sia efficace. Queste trasformazioni stanno mettendo in discussione il modello di insegnamento scolastico che abbiamo avuto finora, ponendo una forte necessità di cambiamento. Mentre gli esperti si interrogano su come cambiare, alcune scuole piuttosto che evolversi sembrano tornare indietro, ai tempi in cui i più deboli venivano esclusi ed emarginati.

Vi abbiamo già riferito il caso dei licei italiani che nel rapporto di autovalutazione (RAV) hanno fatto vanto di essere scuole frequentate da studenti provenienti da famiglie di estrazione medio-alta, senza poveri, né stranieri, né disabili. Una vicenda che ha suscitato sdegno e acceso il dibattito nell’opinione pubblica, con l’accusa a queste scuole, soprattutto liceo classici, di essere classiste e discriminatorie.

Le scuole migliori non sono escludenti

Le scuole migliori, tuttavia, non sono quelle esclusive per i ricchi e che escludono i ragazzi poveri, stranieri o disabili. La scuola, infatti, deve essere inclusiva, ma soprattutto deve adeguare i suoi modelli di insegnamento alle nuove esigenze della società contemporanea.

È quanto sostiene Giovanni Biondi, presidente di INDIRE, l’Istituto a cui è affidata la ricerca sull’innovazione educativa.

Secondo Biondi l’attuale modello di scuola italiana non può più funzionare e deve cambiare. Il modello di lezione frontale non è più adeguato, ed è questo a rallentare l’apprendimento dei ragazzi in classe, non la presenza di ragazzi svantaggiati o disabili. Questo modello non stimola i ragazzi all’apprendimento, mentre occorrerebbe introdurre un modello più aperto e partecipativo, laboratoriale, lo definisce Biondi.

Quanto ai licei che si sono vantati di non avere studenti poveri, disabili o stranieri, Biondi ha risposto, in un’intervista a Vita, che il monitoraggio del rapporto di autovalutazione RAV lo fa l’Invalsi e che la sua impressione è che la stesura del rapporto sia vissuta dalle scuole come un adempimento burocratico, piuttosto che come vero aiuto all’autovalutazione al miglioramento.

L’INDIRE ha valutato 3.500 piani di miglioramento delle scuole e da questa valutazione è emerso che “più che progettare un piano di miglioramento, le scuole scrivano un libretto di giustificazioni”. Biondi ha anche sottolineato che la legge 10 che aveva introdotto il sistema nazionale di valutazione si basava anche sulla valutazione esterna delle scuole, attraverso ispettori autonomi, che avrebbero dovuto fare visite regolari alle scuole, indicare i punti deboli da cambiare e poi tornare per verificare i miglioramenti. L’autovalutazione è importante, ma serve anche la valutazione esterna autonoma, ha precisato il presidente di INDIRE.

Biondi sostiene che la scuola non si può basare solo sul raggiungimento di un risultato e sulla performance, perché la scuola è anche educazione e crescita basata sui valori. Se l’unico obiettivo della scuola è l’apprendimento o il risultato, allora, ha spiegato Biondi, i ragazzi che si trovino in difficoltà, di qualunque tipo, rallentano la classe. Ma anche la lezione frontale rallenta:

“Se l’insegnante parla, l’alunno studia sul libro e poi l’insegnante interroga, va da sé che chi per qualsiasi motivo non si adatta a questo modello, resta indietro”.

Anche il compito dell’insegnante di sostegno è limitato: “Sta seduto accanto all’alunno e fa da interprete di quel che l’insegnante dice”, ha detto Biondi.

Quello che occorre cambiare, ha insistito il presidente di INDIRE, è il modello. L’attuale modello scolastico basato sulla lezione frontale mette in difficoltà tutti, non solo gli alunni con disabilità, stranieri o provenienti da famiglie fragili, ma anche gli altri, perché i ragazzi oggi hanno un differente approccio all’apprendimento, basato sulle tecnologie, “imparano per immagini e suoni”. Il vecchio modello della lezione frontale, poi, è discriminante anche nei confronti dei ragazzi plus dotati, che in questo modo si annoiano.

Il nuovo modello da adottare secondo Biondi è quello laboratoriale, in cui i ragazzi sono incoraggiati a svolgere attività in modo collaborativo, lavorando in gruppi. Non vanno più a scuola soltanto per sentire la lezione. In questo modo cambia tutto, anche l’atteggiamento nei confronti dei ragazzi con difficoltà.

Quello che propone Giovanni Biondi è un modello di scuola audace, “una scuola senza aule e senza classi”. La scuola del futuro.

Che ne pensate unimamme?

valeria bellagamba

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