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Attualità

I genitori dei bulli di Ciriè difendono i figli: “smettetela di massacrarli” – FOTO

Published by
Maria Sole Bosaia

I genitori dei 4 ragazzi di Ciriè che hanno insultato le forze dell’ordine difendono i figli.

Unimamme, in questi giorni, ha fatto scalpore il video dei ragazzi di Ciriè che, dopo aver scontato 3 anni di lavori socialmente utili per bullismo, hanno pubblicato un video in cui dileggiavano le forze dell’ordine.

Ragazzi di Ciriè: cosa dicono i genitori

“Siamo liberi, fanc… sbirri” gridavano fieri nel filmato. I ragazzi avevano fatto anche il segno delle manette davanti al cartello del palazzo di giustizia.

I ragazzi però, forse, non erano consapevoli che quest’azione gli sarebbe sfuggita di mano, portando a gravi conseguenze.

I giovani sono dovuti andare in caserma per spiegare ai carabinieri ciò che si vedeva nelle foto e nel filmato.

Una delle mamme dei ragazzi coinvolti ha dichiarato: “Li stanno massacrando, mio figlio è disperato e ha minacciato di fare qualche stupidaggine”.

A quanto pare i ragazzi si sono scusati, in lacrime, prima con i genitori e poi con le forze dell’ordine.

“Prima di giudicare qualsiasi fatto, bisognerebbe mettersi davanti a uno specchio e riflettere su se stessi. Guardate il proprio orto, poi se è il caso criticate ma non giudicate perché la stessa cosa potrebbe riproporsi tra le vostra mura familiari.”

L’avvocato Mosele aggiunge: “Sono due episodi distinti. Per i fatti di tre anni fa, i ragazzi hanno già pagato e risarcito la vittima e il 10 luglio il tribunale ha dichiarato estinto il reato. Ora sono da accertare le responsabilità per queste foto e video su cui i carabinieri stanno indagando. Immagini estrapolate dal contesto a cui si potrebbero dare diversi significati”.

I ragazzi avevano svolto 3 anni di servizi sociali dopo aver bullizzato un coetaneo, facendogli mangiare un panino pieno di escrementi.

Non sono mancati a un giorno di lavoro e una seduta con gli assistenti sociali.

Sul fatto si era esmpresso anche lo psicoterapeuta Alberto Pellai: Presumo che nessuno si sia occupato, durante il periodo della pena, di educarli all’empatia e alla responsabilità. Forse, hanno svolto le loro azioni “socialmente utili” con lo stile di chi deve “per obbligo” vidimare un cartellino senza alcun coinvolgimento reale e profondo in ciò che fa”.

Unimamme, voi cosa ne pensate di questo caso di cui si parla su Repubblica?

Maria Sole Bosaia

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