Analfabetismo funzionale, perché ci riguarda

A Firenze nella Galleria degli Uffizi, il 6 febbraio, è crollato un pezzo di affresco cinquecentesco, a causa di alcuni lavori svolti al piano superiore.  Mi pare già di sentire gli speaker dei TG ripetere allarmati: “E dopo Pompei, altra catastrofe, ecc..”

C’è un altro dato che apparentemente, solo apparentemente, non c’entra con queste notizie di catastrofi culturali nel nostro Paese. In una relazione, Tullio De Mauro, un insigne linguista, ha constatato che:

  • il 38% degli italiani sa leggere, cioè riconoscere lettere e numeri, ma ha difficoltà evidenti di lettura; 
  • il 33% ha reali difficoltà a capire un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana: un grafico con qualche percentuale diventa un’icona incomprensibile;
  • soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea.

Questo è quello che viene definito l’analfabetismo funzionale ossia l’incapacità di avere strumenti di lettura per interpretare la realtà contemporanea.  O come possiamo leggere su Wikipedia: “…designa l’incapacità di un individuo di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana…quando sono posti di fronte a materiali stampati, gli adulti funzionalmente analfabeti non possono operare efficacemente nella società moderna e non possono svolgere adeguatamente compiti fondamentali come riempire una domanda d’impiego, capire un contratto legalmente vincolante, seguire istruzioni scritte, leggere un articolo di giornale…”.

Firenze e l’analfabetismo funzionale. Ne discutevano questa mattina all trasmissione radiofonica Tutta la città ne parla. Il titolo della discussione è: Chi siamo e quanto valiamo? Identità e patrimonio culturale. Ascoltavo Antonio Natali, Direttore della Galleria degli Uffizi, Armando Massarenti, filosofo, direttore del supplemento culturale Domenica del Sole 24, alcuni insegnanti di Storia dell’Arte e varie persone che combattono affinché le cose possano cambiare, o perché comunque se ne parli.

Un professore di Storia dell’Arte raccontava che, dopo la visita a Firenze e Siena, ha chiesto ai suoi alunni cosa li avesse più colpiti di quelle città e molti di loro hanno riposto: i negozi del centro

Mentre lo ascoltavo, ho ripensato ad un articolo del sito che racconta dell’iniziativa The Girl Effect, relativo al fatto che le ragazze adolescenti, se aiutate, possano diventare un volano reale per il cambiamento della società. Di tutta la società.

Noi viviamo nel Paese che più di ogni altro è il simbolo stesso della cultura. Chiunque abbia fatto un viaggio oltreconfine lo sa. Ma, come dice però giustamente Armando Massarenti: Siamo degli analfabeti seduti su un tesoro.

Mi sono detta che forse tra quelle voci, che discutevano alla trasmissione, mancava una mamma. Una mamma che, tra le priorità del suo ruolo, metta non solo “cosa si mangia oggi”, ma anche “in che paese vorrei far svegliare mio figlio domani mattina“.  Il fatto che quel bimbo si sveglierà in uno dei paesi più belli del mondo è un fatto, saper accedere a quella bellezza non lo è. Ogni mamma, oltre a curarsi del tipo di merenda da far mangiare al figlio, degli amici che frequenta e di come va vestito, dovrebbe dedicarsi anche all‘educazione e al rispetto del bello. 

Occorre, sin da piccoli, favorire un’introduzione graduale all’arte e alla musica. Ogni mamma, con i mezzi culturali ed economici che ha a disposizione, deve fare qualcosa, senza aspettare che la mentalità cambi per forza prima dall’alto, e quindi dalla politica e dalle istituzioni. In fondo ogni mamma è un po’ un’istituzione.

Dobbiamo provare noi a fare di questo Paese un posto dove si cresce bene, anche in cultura. Una cosa è certa: le sfide non spaventano le mamme. E questa è la sfida del nostro futuro, e del loro.

L’articolo di  De Mauro si conclude così: “L’invito a investire nelle conoscenze non è stato raccolto né dai partiti politici né dalla mitica “gente”.

Secondo alcuni economisti, il ristagno produttivo italiano, che dura dagli anni novanta, è frutto dei bassi livelli di competenza.

Ma nessuno sembra ascoltarli…proviamo ad ascoltare noi, per i nostri figli,  proviamo a scrivere un altro finale!

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