Calcio: se un bambino è scarso come deve agire un allenatore? E un genitore?

Scuola calcio

Questa è la storia di un allenatore di calcio e di un bambino che frequentava la sua scuola calcio, e che è stato ritirato dalla madre perché non abbastanza portato per questo sport.

Non sempre i genitori riescono a prendere coscienza dei limiti dei propri figli proprio perché vengono visti con gli occhi dell’amore. A volte però, come in questo caso, la mamma è riuscita ad essere distaccata ed ha concluso che tra il figlio e il calcio non c’era il giusto feeling, non facendolo piu’ andare a lezione.

L’allenatore, appresa la notizia, invece di dire “ha fatto bene, tanto non era capace!”, come avrebbero fatto tanti altri suoi colleghi, ha decidso di scrivere alla mamma del bambino attraverso facebook con l’intento di farle cambiare idea.

Il tutto è successo a fine dicembre a Bettona, un piccolo paesino in provincia di Perugia nella squadra locale, la Real Virtus.

La lettera inizia così:

Salve signora! Per me che ho allenato un anno suo figlio, sapere che è sua intenzione quella di interrompere l’attività è un piccolo-grande fallimento da allenatore. Un fallimento non solo come tecnico, ma anche come persona. Non essere riuscito a coinvolgerlo a pieno, a stimolarlo, ad integrarlo al meglio all’interno della squadra, a fargli migliorare quei limiti quel tanto che sarebbe bastato, a farlo considerare “più bravo” da se stesso, ma anche da sua madre”.

E continua sottolineando che, anche se non portato fisicamente, tecnicamente e tatticamente, il bambino “eccelleva per la sua attenzione e per l’applicazione delle direttive dategli. Per il rispetto che ha sempre dimostrato nei miei confronti.

Il nostalgico allenatore racconta di quando anche lui aveva perso fiducia nelle sue qualità e di quando a 14 anni voleva mollare perché nella squadra in cui giocava non era preso in considerazione. Le alternative che aveva all’epoca erano due

  • o riponeva le scarpette in un armadio
  • o si rimboccava le maniche per dimostrare le sue capacità.

Scelse la seconda opportunità, cambiando squadra “stavo per smettere, andai a giocare in un altro ambiente e trovai il modo di esprimere al meglio quello che avevo dentro. Di migliorare, di vincere tante partite, tante quante ne avevo perse quando, oltretutto, non venivo considerato”. Ritornò alla sua squadra d’origine solo quando furono loro a cercarlo, e racconta “ho giocato e vinto tanto, persino un campionato, prima di infortunarmi e di smettere di giocare”.

L’augurio del buon allenatore verso il bimbo è quello che anch’egli possa ripercorrere il suo stesso percorso di vitacon la passione ed il lavoro si possono ottenere grandi soddisfazioni personali, e dice alla madre che è importante far giocare il bambino anche se per soli cinque minuti perché lui ricorda bene la gioia del bimbo quando segnò il suo primo gol

“Io mi ricordo bene. È stato molto bello vederlo esultare. Una scena quasi da film… chi l’avrebbe mai detto? Forse neanch’io… però il calcio è anche questo. Se ha avuto quella piccola gioia se l’è sudata tutta, suo figlio. Per questo è più bella! Non lo privi di quei 5 minuti se per lui sono importanti”.

L’allenatore ha accettato di rendere pubblica questa sua conversazione con la signora solo per diffondere il suo pensiero: il calcio è principalmente attività sportiva. Gli “assi” si formeranno con dedizione, tempo, passione e allenamento.

Che dire? È bello avere un allenatore che oltre alle doti tecniche possa vedere anche il cuore dei singoli suoi “pulcini” e sperare che con tanta determinazione anche il meno improbabile dei calciatori possa trasformarsi, col passare degli anni, in un campione.

A 10 anni, proprio come dice il giovane allenatore, i bambini non devono essere caricati di aspettative e paragoni troppo grandi da sostenere, non devono essere ossessionati di fare gol, ma devono giocare per il solo gusto di tirare quattro calci ad un pallone e niente più!

E voi unimamme, siete d’accordo?

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