Investendo sui bambini si evita la disoccupazione giovanile: i casi di successo

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I ragazzi che non studiano, non sono impegnati in corsi di formazione e non lavorano, i Neet (Not In Employment, Education Or Training), costituiscono sempre più un peso per la società, aggravando così una situazione economica che il mondo occidentale fatica a superare da tempo. I giovani che appartengo a questo categoria, sono in aumento in tutte le parti del mondo.

Per combattere il divulgarsi di questa problematica, stanno sorgendo nuove politiche di contrasto, come si legge su IlSole24ore.

Bisogna però partire da un’analisi profonda e completa del fenomeno, così da poterlo capire pienamente e trovare una soluzione concreta.

Quanto costano i giovani disoccupati?

Per comprendere quanto sia gravoso per le casse di uno stato il fenomeno dei Neet, in Gran Bretagna è stato condotto uno studio da parte di Impetus-Private Equity Foundation in collaborazione con il Comune di Newcastle. Emerge un quadro chiaro dal campione analizzato, composto da 8 mila ragazzi:

  • oltre 2 giovani su 3 dei disoccupati di età compresa tra i 17 e i 19 anni fanno parte di quel 25% di giovani che durante l’infanzia ha avuto a che fare con gli assistenti sociali.

Se si considera che questa massa di giovani costa al governo inglese 25 miliardi di sterline all’anno, si rende necessario un’intervento tempestivo e mirato per risolvere la situazione.

Se i problemi familiari hanno un peso così determinante per il futuro scolastico e lavorativo dei giovani e, di conseguenza, delle casse dello stato, bisogna partire da lì. Non con le solite politiche sociali che vengono impiegate da anni e che non hanno risolto il problema. Bisogna trovare modelli nuovi che possano realmente dare una mano.

Alcune soluzioni

Tra i numerosi strumenti possibili vi sono i cosiddetti modelli payment by result, in cui la remunerazione di un investimento è legata al risultato dello stesso. Questa tipologia di modello prevede l’intervento di finanziatori che, credendo nella validità di un progetto, decidono di elargire dei fondi a suo supporto. Nel momento in cui il progetto finanziato dimostra di essere effettivamente valido per i ragazzi interessati e per le casse dello stato, traducendosi ossia in un reale risparmio, il governo, solo in quel caso, ripaga il finanziatore di quanto ha speso, andando a prendere il denaro da quella porzione che è riuscito a risparmiare.

disoccupazioneNegli Stati Uniti, il modello payment by result sta iniziando a dare i suoi frutti. Per esempio, il Social Impact Bond (SIB) da 17 milioni di dollari lanciato nel 2014 e basato sul programma del Child-Parent Center di Chicago è un progetto finanziato che prevede di fornire un’educazione di elevata qualità alla prima infanzia, ossia a 2.620 bambini considerati vulnerabili.

Questo è solamente uno dei SIB presenti negli Stati Uniti, il terzo a ottenere risultati di medio termine. Grazie a questo progetto, infatti, dei 325 bambini del primo campione, il 59% è stato considerato idoneo ad accedere alla scuola per l’infanzia, portando gli investitori a ricevere 500.000 dollari, 2.900 dollari per ogni bambino.

Un modello simile è stato applicato anche in India. Un Development Impact Bond (DIB), la versione del SIB dedicata allo sviluppo, ha proposto un programma per portare le bambine sui banchi di scuola, così da ridurre le differenze tra i generi. Per essere considerato come riuscito, questo DIB ha dei precisi obiettivi sia per quanto riguarda il numero di bambine portate a scuola che per i loro progressi per quanto riguarda l’inglese, l’hindi e la matematica. Nonostante il progetto avesse tre anni di tempo a disposizione, dopo solo il primo anno l’investitore privato, Ubs Optimus Foundation ha già recuperato il 40% del suo investimento iniziale. Infatti, sulle 15 mila bambine che partecipano al progetto, il 44% è già sui banchi di scuola e il 23% ha raggiunto gli obiettivi prefissati. In questo caso specifico, l’ente che ha ripagato l’investitore non è lo stato ma un’organizzazione filantropica, il Children’s Investment Fund Foundation.

Questi esperimenti sociali ed economici hanno dimostrato come curare la causa piuttosto che tamponare gli effetti è fattibile.

Ognuno di noi può mettersi in gioco per poter dare il suo contributo specifico, invece di continuare a chiedere interventi che devono essere realizzati sempre da altri e mai da noi stessi. La situazione attuale dei Neet è una malattia che noi stessi abbiamo contribuito a creare, impegnati sempre a guardare altrove e confidando in una situazione economica favorevole. Ora non siamo più così fortunati e recuperare questi giovani sarà molto complicato, anche se non impossibile, come sta già tentando di fare l’Unione Europea. Per fare in modo, però, che questi errori di calcolo non si ripetano più, non possiamo più limitarci ad osservare. Le soluzioni ci sono e aspettano solamente il giusto sostegno per essere applicate. Anche questo è un modo per costruire un mondo migliore per i nostri figli.

E voi unigenitori cosa ne pensate? Non sarebbe bello tentare queste politiche sociali anche in Italia?

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