“Tuo figlio nascerà ‘mongoloide’, meglio che abortisci”: la storia di una mamma

Si chiama sindrome di Down non mongolismo, ma c’è chi usa ancora questo termine denigratorio. E’ il caso scioccate accaduto ad una mamma australiana quando le è stato comunicato che il bimbo che portava in grembo era affetto da Trisomia 21, ovvero la sindrome di Down. La donna è stata invitata ad abortire, anche da persone sconosciute. Un caso che fa riflettere.

“Tuo figlio è mongoloide, abortirai? ” Perché succede?

Sarah Maroun, 32 anni, mamma in attesa di Sydney, ormai se lo è sentito dire talmente tante volte che ci ha fatto quasi l’abitudine anche se non riesce ad accettarlo: le è stato chiesto più volte dal personale medico che l’ha visitata se avesse abortito il figlio che portava in grembo, visto che era affetto da sindrome di Down.

In uno studio medico GP, General Practioner, quello che da noi più o meno è il medico di famiglia e la guardia medica, a Sarah è stato detto che suo figlio sarebbe nato mongoloide. La giovane donna è rimasta scioccata, incredula che un medico potesse usare quel termine tanto dispregiativo, che lei stessa non aveva più sentito dai tempi della scuola, quando veniva usato come insulto solo dai bulli.

Ma quello che più ha ferito Sarah è stata la domanda se non addirittura la pretesa che si è sentita rivolgere da parte di estranei di interrompere la gravidanza, perché tanto suo figlio sarebbe nato con la sindrome di Down.

C’è anche chi l’ha accusata che avrebbe fatto spendere un sacco di soldi al sistema sanitario nazionale, se avesse deciso di proseguire la gravidanza. Qualcuno in proposito le ha dato perfino dell’idiota.

In Australia le persone con la sindrome di Down sono circa 13.000, su una popolazione di poco più di 24 milioni di abitanti (censimento del 2016). Invece in Islanda sono quasi scomparse, come abbiamo visto, perché le donne islandesi decidono di abortire quando viene loro diagnosticata la sindrome di Down ai bambini che portano in grembo.

Al di là del caso di Sarah Maroun, i genitori australiani di bambini con sindrome di Down hanno deciso di ribellarsi ai pregiudizi sociali che colpiscono i loro figli. Un gruppo chiamato T21 Mum Australia (con riferimento alla Trisomia 21) ha incaricato alcuni fotografi professionisti di scattare alcune immagini ai loro bambini in normali momento di felicità. Lo scopo è quello di mostrare che i loro figli sono come tutti gli altri.

Claire Smith, bambina con sindrome di Down fotografata per il progetto di T21 Mum Australia. Picture: Leanne Forbes Photography. Source: Supplied

Il gruppo dà sostegno e informazioni alle famiglie con bambini che hanno la sindrome di Down. Altri genitori hanno dovuto affrontare lo scetticismo e i pregiudizi della gente e anche del personale sanitario quando hanno detto che avrebbero proseguito con la gravidanza. Si sono sentiti chiedere se fossero cristiani, ma questi genitori hanno spiegato che la religione non c’entra e che anche genitori atei hanno deciso di far nascere figli con la sindrome di Down.

Soprattutto, se sono state vittime dei pregiudizi delle altre persone che le hanno invitate ad abortire, queste mamme di bimbi con Sindrome di Down a loro volta non giudicano quelle mamme che non se la sentono di andare avanti con la gravidanza. Anche se aggiungono che spesso molti genitori di bambini Down non sono adeguatamente informati e assistiti su quello che accadrà e su come sarà la vita dei loro figli.

A Sarah Maroun hanno detto che la sua vita sarebbe stata rovinata se avesse messo al mondo un bambino con la sindrome di Down, ma lei, dopo aver cambiato medico e aver scoperto il progetto T21 Mum Australia ha detto di essere serena e fiduciosa.

Il nuovo medico le ha anche fornito un support pack prodotto dal Down Syndrome Australia (DSA) realizzato proprio per i genitori che decidono di tenere il proprio bambino, ma che non viene fornito al momento della diagnosi perché “farebbe sentire in colpa chi decide di interrompere la gravidanza“.

“In molti casi le informazioni date alle famiglie non sono aggiornate o si focalizza su un ritratto molto negativo di cosa significa avere un bambino con Sindrome di Down” ha dichiarato la dottoressa Ellen Skladzien, sottolineando come non sia etico offrire alle persone un test di screening senza dare informazioni e supporto adeguati.

Le esperienze delle altre mamme hanno dato speranza a Sarah. Sa che molte persone con sindrome di Down riescono ad avere una loro vita, frequentare scuole normali, trovare un lavoro e andare a vivere da soli.

Uno degli esempi più significativi è quello di Briton Charlotte Fien, ragazza con sindrome di Down che lo scorso maggio ha parlato alle Nazioni Unite: “Non soffro – ha detto – nessuno dei miei amici con sindrome di Down soffre“, ha spiegato la ragazza, che ha un lavoro ed è fidanzata.

Questa storia e le storie dei bambini nel servizio fotografico delle T21 Mum Australia ha dato a Sarah Maroun la forza per andare avanti, come si legge su News.com.au.

E voi unimamme, cosa pensate di questa storia?

Sul brutto uso della parola mongoloide vi ricordiamo il nostro articolo su Marco Travaglio.

Mentre su storie straordinarie di persone con sindrome di Down vi segnaliamo quella del ragazzo di 17 anni campione di nuoto che ha salvato due bambine dall’annegamento.

VIDEO: Yulissa Arescurenaga, la prima ragazza con sindrome di down ad insegnare zumba.

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