Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili: tolleranza zero contro una pratica brutale

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Ragazze scampate alla mutilazione genitale femminile in Uganda (YASUYOSHI CHIBA/AFP/Getty Images)

Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili: tolleranza zero contro una pratica brutale.

Il 6 febbraio ricorre la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili (MGF), istituita dalle Nazioni Unite nel 2003 per combattere una pratica brutale che colpisce decine di milioni di bambine e ragazze nel mondo, soprattutto in Africa. Lo slogan della campagna di quest’anno è “tolleranza zero“.

In anni di campagne di sensibilizzazione,  lotte e introduzione di nuove leggi per contrastare il crudele fenomeno delle mutilazioni genitali femminili molto è stato fatto, ma molto resta ancora da fare per debellare questa violenza mostruosa, che per effetto dell’immigrazione purtroppo si è diffusa anche in Occidente.

Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili: tolleranza zero

Il 6 febbraio si è tenuta la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili, istituita dall’Onu nel 2003. Quindici anni di campagne di sensibilizzazione, interventi e nuove leggi per contrastare una pratica tanto violenta quanto disumana che ogni anno colpisce milioni di donne e bambine nel mondo e che ha origine in alcuni riti tribali africani.

Conosciuta anche come pratica dell’infibulazione, la mutilazione genitale femminile comporta gravissime menomazioni all’apparato genitale femminile, con infezioni che possono portare alla morte e pesanti conseguenze psicologiche. Viene praticata anche con strumenti rudimentali e spesso senza alcuna forma di anestesia. Una mostruosità difficile da immaginare. Le Nazioni Unite hanno dichiarato “tolleranza zero” nei confronti di questa pratica che è un vero e proprio crimine contro l’umanità.

In questo Giorno di Tolleranza Zero, chiedo un’azione più ampia, concertata e globale per porre fine alle mutilazioni genitali femminili e sostenere pienamente i diritti umani di tutte le donne e le ragazze“, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

I numeri di questa pratica brutale sono impressionanti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che siano oltre 200 milioni le donne nel mondo già sottoposte a mutilazioni genitali femminili e che oltre 3 milioni di bambine sotto i 15 anni siano a rischio ogni anno. Un dato che secondi gli esperti è addirittura sottostimato. Le ragazze e le donne che subiscono questa pratica disumana vivono soprattutto in 29 Paesi africani, mentre una quota minore vive in Paesi a predominanza islamica dell’Asia.

La Somalia è il Paese dove le mutilazioni genitali sono più diffuse, riguardano praticamente tutte le donne: il 98%. Alte percentuali si registrano in Guinea (96%), Gibuti (93%), Egitto (91%), Eritrea e Mali (89%), poi Sierra Leone e Sudan (88%). Seguono i Paesi della fascia sub-sahariana, con una percentuale delle donne coinvolte compresa tra il 60 e l’80%, tra cui Gambia, Burkina Faso, Etiopia, Mauritania e Liberia. In altri Paesi africani, invece, le mutilazioni genitali femminili riguardano una minoranza, con quote dell’1-4% in Paesi come Ghana, Togo, Zambia, Uganda, Camerun e Niger.

Le MGF vengono praticate in prevalenza su bambine tra i 4 e i 14 anni di età. Tuttavia, in alcuni Paesi vengono “operate” perfino bambine con meno di un anno di vita, come nel 44% dei casi in Eritrea e nel 29% dei casi nel Mali, o neonate di pochi giorni, come in Yemen. Un orrore indescrivibile.

Purtroppo, casi di mutilazioni genitali femminili si verificano anche in Europa, Australia, Canada e Stati Uniti, soprattutto fra gli immigrati provenienti dall’Africa e dall’Asia sud-occidentale. Si tratta di episodi che avvengono nella più totale illegalità e in clandestinità e pertanto sono molto difficili da censire statisticamente. Come spiega Unicef.

Una donna con un taglierino usato per le mutilazioni genitali femminili (YASUYOSHI CHIBA/AFP/Getty Images)

Mutilazioni genitali femminili: un fenomeno difficile da sradicare

Negli ultimi anni sono stati fatti importanti passi avanti nel contrasto di questa pratica brutale, tuttavia se i trend attuali continueranno, 68 milioni di ragazze nate tra il 2010 e il 2015 rischiano di subire una mutilazione genitale entro il 2030. Secondo le stime di Unicef.

In Italia, la mutilazione genitale femminile è stata espressamente vietata dalla legge numero 7 del 2006, che la considera un reato grave. Tuttavia, come abbiamo accennato sopra, sfuggono al controllo tutti quei casi clandestini di mutilazioni genitali femminili, di cui si viene a conoscenza solo in presenza di conseguenze gravi che necessitano il ricovero in ospedale. In Italia sono 30-40mila le bimbe a rischio di mutilazione genitale femminile, perché provengono da Paesi in cui questa pratica è fortemente radicata nella tradizione locale.

Le mutilazioni genitali femminili includono pratiche tradizionali che vanno dall’incisione all’asportazione, parziale o totale, dei genitali femminili esterni. Provocano dunque gravissime lesioni e sono estremamente dolorose. A seguito del “taglio” le donne e bambine possono andare incontro a grave emorragia, sepsi e shock neurogenico, provocato dal fortissimo dolore e dal trauma. Conseguenze che possono essere letali.

Per chi supera lesioni e trauma si verificano comunque conseguenze di lungo periodo, come la formazione di ascessi, calcoli e cisti, la crescita abnorme del tessuto cicatriziale, infezioni e ostruzioni croniche del tratto urinario e della pelvi, forti dolori nelle mestruazioni e nei rapporti sessuali, una maggiore vulnerabilità all’infezione da HIV/AIDS, epatite e altre malattie veicolate dal sangue, poi infertilità, incontinenza, maggiore rischio di mortalità materna per travaglio chiuso o emorragia al momento del parto. Infine conseguenze psicologiche e sociali.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ribadisce che le mutilazioni genitali femminili sono una “violazione dei diritti delle donne e delle ragazze” e non comportano “nessun beneficio per la salute“.

Una pratica inutilmente crudele, fortemente lesiva dell’integrità fisica di donne e bambine, della loro dignità, della loro sessualità e del loro diritto alla salute, anche riproduttiva.

Il miglior modo per contrastarle in Occidente è quello di favorire l’integrazione delle donne e delle bambine immigrate, soprattutto la frequentazione della scuola da parte di queste ultime, per ridurre al minimo la loro “clandestinità” e le possibilità di sfuggire al controllo sociale.

Una battaglia, tuttavia, molto difficile da combattere, perché la pratica della mutilazione genitale femminile è fortemente radicata in alcune culture e viene tramandata da madre a figlia, secondo un rituale tradizionale che avviene nella segretezza di casa.

Inoltre, una delle tendenze in atto da diversi anni e che purtroppo ostacola l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili è la “medicalizzazione” di questa pratica, ovvero farla eseguire da personale sanitario in condizioni di sicurezza, con l’impiego di strumenti sterili, sale mediche attrezzate e somministrando alle ragazze antidolorifici e antibiotici per affrontare e superare l’intervento. Oltre 20 milioni di donne e ragazze sono state sottoposte a questa procedura con l’intervento di un operatore sanitario in 7 Stati: Egitto, Sudan, Guinea, Gibuti, Kenya, Yemen e Nigeria. Medicalizzare le MGF, tuttavia, non significa renderle più sicure, perché si tratta sempre della rimozione o del danneggiamento di tessuti sani e normali, interferendo con le funzioni naturali del corpo di una bambina, di una ragazza o di una donna. Se la medicalizzazione offre maggiori tutele per la salute delle bambine e delle ragazze nel breve termine, tuttavia anche un intervento eseguito alla perfezione non elimina le gravi conseguenze a lungo termine del taglio dal punto di vista fisico ed emotivo. Ma va ribadito che anche se praticate da un medico, le mutilazioni genitali rappresentano una grave violazione dei diritti delle bambine e delle ragazze.

Nel Regno Unito si è tenuto per la prima volta un processo per mutilazioni genitali femminili a carico di una donna accusata di aver tagliato la figlia di soli 3 anni. Una vicenda che ha avuto grandissimo risalto sulla stampa britannica, ma che allo stesso tempo testimonia quanto questo fenomeno sia profondamente radicato in alcune comunità e difficile da eliminare. Se perfino una mamma che abita in un Paese avanzato pratica la mutilazione genitale sulla figlioletta, significa che c’è molto da fare e che l’eliminazione della pratica è difficilissima. Anche perché nel mondo la discussione intorno ai problemi di salute femminile è limitata. Nessuno ne parla, perché dovrebbero preoccuparsene quelle aree del mondo più difficili, rurali e meno sviluppate? Si è chiesta Julia Lalla-Maharajh, parlando con il Telegraph.

C’è molta ignoranza sul tema e nelle comunità in cui la pratica delle MGF viene attuata da secoli c’è la convinzione da parte delle famiglie che si tratti di una “cosa giusta“, che aiuterà le figlie a trovare marito, a essere fertili. Molti genitori sono convinti di fare del bene alle loro figlie e spesso sono le stesse donne e ragazze che hanno subito al mutilazione genitale a pensare che sia giusta. Questo perché non si rendono conto dei pericoli e delle conseguenze anche a lungo termine di questa pratica e spesso temono di più lo stigma sociale della loro comunità.

Che ne pensate unimamme? Come possono essere sconfitte le mutilazioni genitali femminili, secondo voi?

Ricordiamo il nostro articolo: Le donne in “guerra” contro le mutilazioni genitali femminili

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