Superare i conflitti coi figli in modo positivo: 6 consigli indispensabili

ragazzo umiliato

Care Unimamme oggi parliamo di conflitti con i figli, partendo da un “mantra”: “Urlare non serve a nulla“; una frase che oltre ad essere un sintetico ma rappresentativo consiglio è anche il titolo del libro scritto da Daniela Novara, uno dei maggiori pedagogisti italiani. Edito da BUR ed in libreria da questo mese, spiega come “imparare a litigare“.

Se infatti le urla non servono affatto a risolvere i conflitti, affrontarli in un maniera costruttiva è uno dei modi più efficaci per educarli ed aiutarli a diventare adulti maturi ed autonomi, ed a sapersi rapportare con gli altri.

Imparare a litigare bene con i nostri figli li aiuterà a diventare uomini e donne competenti, in grado di affrontare con successo le sfide e la complessità del futuro che ci attende” – ha detto l’autrice del libro a Repubblica, a cui ha rilasciato una interessante intervista che vogliamo riproporvi come utile spunto e canovaccio di buoni consigli, da mettere in tasca e tirar fuori al momento opportuno magari quando, dopo una giornata stressante o un momento particolarmente difficile, la pazienza va via e diventa davvero complicato mantenere la lucidità ed il distacco.

Gestire i conflitti: dal “genitore emotivo” al “genitore educativo”

Se vostro figlio a 5 anni affoga in un pianto disperato tutte le sere perché vuole dormire nel lettone con voi cosa fareste? Secondo la Dott.ssa Novara la reazione a questa situazione è un ottimo esempio per spiegare due tipi di approccio genitoriale, ecco come lo spiega su Repubblica:

  • genitore emotivo: “è il genitore che “basa il proprio ruolo sulla verifica degli stati emotivi propri e del figlio, agisce spontaneamente sulla base del momento, cerca la complicità, convinto che i figli basti amarli e il resto viene da sé. In preda all’ansia e alla stanchezza acconsentono. Da un lato non ce la fanno più, e questo può scatenare il peggio: urla, scene isteriche, litigi tra mamma e papà, anche sculacciate. Dall’altro non riescono a superare l’ansia e il timore che il proprio bambino soffra davvero per qualcosa, stia male, si senta solo o abbandonato e quindi non riescono a uscire dal meccanismo di cui si sono resi prigionieri”.
  • genitore educativo: “sa che, dopo i 3, 4 anni, ai bambini va letteralmente “proibito” l’accesso al lettone: è uno spazio di mamma e papà, il talamo coniugale. Non farli dormire nel lettone, non significa non amarli, ma riconoscere che tra genitori e figli c’è una distanza, e che questa è garanzia di serenità, dà sicurezza ai bambini. Quindi si organizza: stabilisce un’ora per andare a letto, un rito prima della nanna, una modalità di agire in caso di crisi. È in grado di individuare insieme al partner quelle mosse giuste che rassicurano il bambino e gli consentono di crescere.”

Quale ruolo devono assumere la mamma e il papà nei conflitti?

La mamma: “la mamma, continua a essere quella figura protettiva che si occupa dell’accudimento. Il suo ruolo è innanzitutto biologico: porta nella pancia per nove mesi il proprio bimbo o la propria bimba; sente una spinta naturale ad occuparsene, a tutelarlo, a fare in modo che sopravviva, specialmente nel primo anno di vita in cui c’è un bisogno particolare. Il primo, e in parte anche il secondo anno di vita richiedono una dedizione materna assoluta: è il momento dell’attaccamento primario che crea le basi della fiducia in se stessi. Poi la situazione cambia: occorre cominciare a mettere dei paletti e delle regole. Ma la mamma resta colei che svolge principalmente un compito di cura. Certamente le madri possono trovarsi in difficoltà rispetto al proprio ruolo, ma storicamente questo aspetto c’è sempre stato, non si è modificato di molto.

Il papà: “la vera crisi educativa dei nostri giorni è una crisi del ruolo paterno. Quando parlo di paterno educativo intendo un insieme di comportamenti che non sono necessariamente legati alla figura del padre. Il ruolo paterno esprime la giusta distanza dai figli, le regole necessarie e chiare, lo slancio vitale, l’assunzione del rischio e del coraggio come elementi fondamentali per crescere: è imprescindibile, ma nei casi in cui il padre sia proprio assente il suo ruolo può essere assunto anche da figure femminili. Non sento la nostalgia di un paterno tutto d’un pezzo, severo, indiscutibile, spesso comunque assente. Però occorre un padre che faccia da sponda, normativo ma allo stesso tempo vitale. Un modello, necessariamente imperfetto, di come si può affrontare l’incertezza, il rischio, le difficoltà dell’esistenza con coraggio, esprimendo tutte le proprie potenzialità e risorse. È una nuova figura di padre, forse ancora inedita, ma su cui si giocano molte delle sfide educative dei nostri giorni.”

Come si fa a diventare un genitore educativo?
Ci si fa delle domande. Si osserva quello che accade e si cerca di individuare, insieme all’altro genitore quando questo è possibile, qual è l’effettivo bisogno del proprio figlio e della propria figlia e la strategia da utilizzare. Le chiavi di volta sono l’organizzazione e la coesione: rendersi conto che per aiutare i nostri figli a diventare grandi, in questi tempi così complessi e veloci, non è possibile affidarsi al caso o all’emozione del momento, e che occorre procedere insieme. Bisogna prepararsi. Il consiglio che do spesso ai genitori è: dedicate del tempo a parlare fra voi due dell’educazione dei vostri figli.”

Ecco una serie di domante che insieme, mamma e papà potete farvi:

  • Quali sono le regole che diamo in famiglia?
  • Nostro figlio, nostra figlia, le ha chiare?
  • Come possiamo aiutarlo a superare questa paura?
  • Come possiamo sostenere il suo desiderio di autonomia senza esporlo a situazioni che non sarebbe in grado si gestire da solo?
  • Cosa è importante per lui alla sua età?
  • Cosa lo può aiutare a crescere?

È inutile scandalizzarsi e invocare i bei tempi andati di fronte alle reazioni oppositive, ai capricci, alle bugie, alla bulimia di desideri e emozioni, ai comportamenti sbagliati. I bambini e i ragazzi fanno il loro lavoro: diventano grandi. Il compito dei genitori è aiutarli e accompagnarli in questo percorso.”

Le giuste “armi” per gestire il conflitto: bambini, preadolescenti, adolescenti e “tiranni”!
  • le armi per gestire conflitto con i bambini: “consuetudini, con le regole, la ritualità, la coesione. È inutile discutere, cercare di spiegare, argomentare, provare a convincere. Bastano piuttosto alcuni messaggi precisi, chiari, adeguati all’età psicoevolutiva del bambino che ci troviamo di fronte. È insensato pensare che se spiego tante volte a un bambino di 2 anni che non deve guardare troppa Tv prima o poi lo capirà e smetterà di fare i capricci. È meglio una regola precisa, sostenibile e definita da entrambi i genitori. Come è sbagliato coinvolgere i bambini più grandi in decisioni familiari che competono all’adulto, magari nella speranza di evitare così capricci e sceneggiate: in realtà spesso quello che si ottiene è insicurezza, ansia e quindi l’effetto opposto”
  • le armi per gestire conflitto nella preadolescenza: “Oggi la preadolescenza è diventata un’età difficile e anche particolarmente conflittuale, internamente e con i genitori, perché è sostanzialmente l’unica vera età di passaggio, di transizione dall’infanzia a qualcos’altro. I bambini subiscono l’effetto di una precocizzazione imposta dal consumismo e dal marketing, e allo stesso tempo sono stati più accuditi nell’infanzia e quindi si trovano impreparati di fronte a tutti i cambiamenti interiori ed esteriori che si trovano ad affrontare. Le strategie che suggerisco nel libro sono diverse, dal silenzio attivo, che comporta la capacità genitoriale di porre una distanza, alla tecnica del gatto: io sono qui e ti aspetto. Indubbiamente in questa fase psicoevolutiva il padre gioca un ruolo determinante, e ritengo fondamentale, a partire dagli 11 anni, attuare quella che ho chiamato “convergenza educativa sul padre”. Se prima il front office educativo era gestito prevalentemente dalla mamma, adesso è il momento che sia il padre ad affrontare le situazioni, a negoziare le regole e le scelte educative: anche se non è fisicamente presente è a lui che occorre fare riferimento se si vuole essere più efficaci.”
  • le armi per gestire conflitto con un adolescente: “Imparare a litigare bene. Questo è il messaggio principale del mio libro. Il conflitto può essere un’occasione preziosa di crescita personale e di evoluzione relazionale per tutti, grandi e piccoli. Noi cresciamo insieme ai nostri figli: se vogliamo che il nostro rapporto con loro si sviluppi sulle basi della fiducia reciproca, dell’affetto, del rispetto delle rispettive individualità, dovremo imparare ad affrontare efficacemente i momenti di crisi, di cambiamento, le normali fasi della trasformazione reciproca. Le relazioni vitali sono sempre conflittuali. Imparare a litigare bene con i nostri figli li aiuterà a diventare uomini e donne competenti, in grado di affrontare con successo le sfide e la complessità del futuro che ci attende.”
  • le armi per gestire conflitto con un bambino “tiranno”: “occorre evitare tutti quei comportamenti che si basano sulla vicinanza emotiva e sulla sudditanza: come la servizievolezza, cioè il sostituirsi al bambino, alla bambina, anche quando possono fare da soli; oppure la continua assistenza nel tentativo di prevenire tutte le possibili fatiche o difficoltà ai nostri figli. Mi hanno raccontato di un bambino così abituato a essere seguito in tutto dai genitori che, quando alla scuola dell’infanzia le maestre gli hanno detto: “Adesso vai a lavarti le mani”, si è rifiutato e non ha più fatto niente per tutto il giorno. Se i genitori si pongono in una posizione di insicurezza e debolezza, i bambini finiscono inevitabilmente per assumere il comando della situazione. Ma a loro questo ruolo non piace, è molto faticoso e produce sofferenza. Bisogna ristabilire il giusto equilibrio, e mamma e papà devono recuperare il loro ruolo educativo.”

Queste le risposte ed i consigli di questa illustre pedagogista. E voi care Unimamme, che genitore pensate di essere? Emotivo o educativo? Qual è l’atteggiamento più utile secondo voi da tenere, l’uno, l’altro o “un pò entrambi”?

Noi vi lasciamo con un nuovo metodo educativo secondo cui lasciar litigare i bambini fa bene.

 

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