“I nuovi manicomi si chiamano psicofarmaci”: la denuncia di un medico

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Tra psicofarmaci, cannabis e altre droghe la situazione dei ragazzi italiani è veramente preoccupante. Ci siamo chiesti cosa accadrà a questi ragazzi se crescono con la convinzione che qualunque piccola difficoltà possa essere curata con una pasticca o una sostanza che alteri il proprio umore, e questo a seguito dello studio eseguito dal cnr di Pisa.

Spostiamo oggi la riflessione su una intervista molto interessante di Simonetta Fiori allo psichiatra Piero Cipriano e pubblicata su Repubblica. Quarantasette anni, promessa “pentita” della psicofarmacologia, Piero Cipriano ha narrato in due libri la sua lunga esperienza di oltre vent’anni in quelle che lui stesso definisce “fabbriche della cura mentale“, cioè i  i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, e cioè quei piccoli reparti ospedalieri dove si affronta la crisi psichiatrica.

Ci ha colpiti in particolare una sottolineatura di questa intervista: “psicofarmaci somministrati non per curare ma per annichilire, di case di cura private che assomigliano ai “villaggi turistici della cronicità“. Ecco cosa sostiene questo medico su un’emergenza diffusa seppur ancora invisibile; questo perché a suo dire il nuovomanicomio” non è più un edificio, una struttura fisica, ma una costruzione subdola e inafferrabile che viene edificato dagli psicofarmaci.

Psicofarmaci: i nuovi manicomi sono delle costruzioni nell’anima

Psichiatra riluttante e stufo di fare il giudice dei matti. Da Pietro Cipriano, in questa intervista, abbiamo di certo un punto di vista inusuale e raro sul mondo psichiatrico ed i suoi luoghi. Ecco cosa sostiene nell’intervista, uno spaccato italiano:

Nei suoi libri racconta storie di pazienti umiliati, chiede la giornalista:

“Sì, storie di tortura. In questo momento ci sono trecento persone legate a un letto con le fasce di contenzione. Dei trecentoventitré servizi diffusi nel territorio nazionale, l’80 per cento è a porte chiuse, ha finestre con le sbarre e utilizza le fasce. Le terapie farmacologiche spesso vengono somministrate per ridurre il paziente in uno stato agonico. Aveva ragione Basaglia a temere che questi reparti potessero diventare piccoli manicomi”.

Nei casi estremi legare non è una necessità?

“Ho visto persone costrette alle fasce solo per uno sputo sulla finestra. Oggi si lega con disinvoltura, come se fosse un gesto normale. Però non se parla. Una pratica tabù”.

Lei non lega mai pazienti esagitati?

“Preferisco parlarci, fino allo sfinimento. E per bloccare una persona non escludo l’uso della forza fisica. Chi ha figli sa di cosa parlo. Qualche collega mi guarda con ribrezzo: talvolta è lo stesso collega che ordina le fasce, ma senza applicarle personalmente perché il lavoro sporco va lasciato ai subalterni. Io resto convinto che le fasce uccidano la relazione”.

Ma cosa propone in alternativa ai SPDC?

Basterebbe guardare ai modelli virtuosi, studiati nel mondo ma ignorati nel resto d’Italia. Non solo Trieste, ma anche Merano, Pistoia, Novara: tutte sedi dove vengono svolte attività domiciliari, oltre alla prevenzione e a colloqui più frequenti. Il paziente non ha bisogno solo di molecole, ma di una casa, di un lavoro, di relazioni. E la spia del funzionamento è proprio il SPDC: più è morbido il Servizio e più il territorio funziona bene. A Roma, al contrario, domina l’emergenza”.

Il Dott. Cipriano mette in guardia dagli abusi della psicofarmacologia

“Denuncio questo nuovo immenso manicomio chimico che recluta i sani. Oggi si diventa pazienti psichiatrici senza saperlo. Tristezza e lutti, rabbia e timidezza, disattenzione ed effervescenza: per ogni emozione forte c’è la pillola giusta. Pensiamo al lutto. Oggi se questa tristezza dura un po’ più del previsto viene rubricata come una depressione e di conseguenza curata con gli psicofarmaci. Per non parlare dell’arruolamento dei bambini: i bulli e gli svogliati sono etichettati come iperattivi. Ma questo è un modo di fabbricare malati. Un bambino diagnosticato iperattivo sarà curato con molecole che lo renderanno un depresso, e poi la depressione sarà curata con farmaci che creeranno eccitazione, e quel bambino è condannato a essere un giovane psicotico”.

La sua lezione è molto chiara. I farmaci creano dipendenza. E possono provocare nuove psicopatologie.

Il caso Lubitz è interessante. Il suo spettacolare suicidio mette insieme il senso di fallimento esistenziale e una sorta di delirio di onnipotenza: una condizione tipicamente iatrogena, ossia provocata dai farmaci. Qualcuno mi provoca: ma tu che fai, non dai pillole? Ma certo che le do, ma con parsimonia e solo nelle condizioni gravi. E bisogna sospenderle appena è possibile. L’assunzione prolungata modifica l’equilibrio chimico del cervello che sempre più dipenderà da quella sostanza”.

Oggi appare diffuso l’uso “cosmetico” del farmaco.

Sì, per sentirsi in forma. Nel libro racconto di una brillante professionista che era stata curata per una depressioncina con una pillola e mezza di Prozac, ma venne da me perché gliene somministrassi due. Stava bene ma voleva sentirsi ancora più su. Mi rifiutai di accontentarla, avendola vista già abbastanza eccitata. “Ma come, dottore, non è contento se preferisco il Prozac alla cocaina?”. Naturalmente non l’ho più vista”.

Lei non fa distinzione tra psicofarmaci e droghe.

Sono entrambi sostanze psicotrope, con la differenza che i farmaci sono legali, le altre no. Mi diverto a parafrasare l’incipit di Roberto Saviano in Zero Zero Zero, il libro sulla diffusione di cocaina. Tra poco sarà difficile trovare un pilota con la fedina psichiatrica pulita, o anche un medico o un conduttore di treno, scrittori, politici e cani. Mi viene in mente la provocazione di Michel Foucault: tutto il mondo è diventato un grande manicomio. Ci siamo quasi”.

Care Unimamme, le parole del dottor Cipriano mostrano una resa quasi totale della debolezza sociale alle catene chimiche.  Malinconia, noia, tristezza, i sentimenti dei poeti e di ogni uomo che rafforzano e temprano oggi sembrano non essere più umani e leciti. Eppure basterebbe molto meno per non ammalarsi, basterebbe molto meno del veleno per guarire. Voi cosa ne pensate?

(Fonte: intervista integrale su Repubblica)

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