Caso Yara: la Cassazione conferma la condanna all’ergastolo per Bossetti

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Yara Gambirasio, Massimo Bossetti

Caso Yara: la Corte di Cassazione conferma la condanna all’ergastolo per Massimo Bossetti.

È arrivata la sentenza definitiva sul caso dell’uccisione di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa da Brembate Sopra, in provincia di Bergamo il 26 novembre del 2010 e ritrovata cadavere tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d’Isola, a pochi chilometri.

La prima sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna pronunciata in appello per Massimo Bossetti.

Massimo Giuseppe Bossetti, muratore di Mapello, in provincia di Bergamo, era stato arrestato a giugno del 2014, dopo lunghe e complesse indagini, con l’accusa di aver ucciso Yara Gambirasio. Gli inquirenti erano risaliti all’uomo dopo anni di ricerche, grazie alle tracce di Dna ritrovate sul corpo di Yara. Bossetti era stato condannato all’ergastolo il 1° luglio del 2016 dalla Corte di Assise di Bergamo, in primo grado. Condanna confermata dalla Corte di Appello il 18 luglio 2017.

A poco più di un anno dalla sentenza di appello è arrivata la sentenza definitiva della Corte di Cassazione. Massimo Bossetti ha atteso il verdetto finale in carcere. Dove resterà per scontare la pena.

Caso Yara: la Cassazione condanna in via definitiva Massimo Bossetti

Per anni è stato chiamato “ignoto 1“, il nome dato allo sconosciuto il cui Dna venne trovato sul corpo della tredicenne Yara Gambirasio scomparsa la sera del 26 novembre 2010, da Membrate Sopra (Bergamo) mentre tornava a casa dalla palestra che frequentava come ginnasta. La povera Yara dopo 3 mesi di estenuanti ricerche fu ritrovata cadavere, il 26 febbraio 2011, del tutto casualmente, da un uomo che stava facendo volare un drone su un campo vicino ad una zona industriale a Chignolo d’Isola, sempre nella bergamasca.

Il caso Yara Gambirasio impressionò e tenne con il fiato sospeso tutta Italia. Per anni gli inquirenti della Procura di Bergamo condussero approfondite indagini senza trovare alcun indizio significativo. Il caso Yara sembrava senza soluzione, nonostante le perlustrazioni sul territorio e il prelievo del Dna di migliaia di persone, la popolazione di quasi un’intera provincia.

La svolta è arrivata quando gli investigatori sono riusciti a risalire al padre di “ignoto 1”, Giuseppe Guerinoni, un uomo deceduto anni prima. I figli nati dal matrimonio di Guerinoni, tuttavia, avevano un Dna che non corrispondeva a quello di “ignoto 1”. Si è pensato, così, ad un figlio di Guerinoni nato da una relazione extraconiugale. Dopo ulteriori accertamenti gli inquirenti sono risaliti alla madre di “ignoto 1”, una signora di nome Ester Arzuffi e da lei si è risalti a suo figlio, Massimo Bossetti, che fino a quel momento credeva di essere figlio di Giovanni Bossetti.

A seguito di ulteriori indagini e nuovi accertamenti sull’indagato, la Procura di Bergamo inviava i carabinieri ad arrestare Massimo Bossetti. Il muratore era al lavoro, il 16 giugno 2014, quando i militari si presentarono per arrestarlo. Da quel momento iniziava la lunga vicenda giudiziaria di Massimo Bossetti, fino all’epilogo di oggi.

Oltre alla prova del Dna di Bossetti, trovato sugli slip e i leggings di Yara, La Pm Leyizia Ruggeri, titolare dell’inchiesta, ha portato i seguenti elementi di prova a sostegno dell’accusa contro il muratore:

  • l’aggancio delle celle telefoniche nella zona della palestra frequentata da Yara,
  • le sfere di metallo trovate nelle scarpe della vittima (sono caratteristiche delle zone in cui ci sono cantieri edili),
  • tracce di calce di cantiere edile ritrovata nei polmoni di Yara
  • e le fibre trovate sui vestiti della giovane compatibili con quelle del suo furgone,
  • la mancanza di un alibi a favore di Bossetti

Dopo la condanna di Bossetti in primo grado, la mamma di Yara aveva detto: “Non ce la riporterà indietro“.

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