Trovata plastica nella placenta umana: la scoperta sconvolgente

Plastica nella placenta umana: la scoperta shock di uno studio italiano.

plastica placenta umana
Trovata plastica nella placenta umana: la scoperta sconvolgente – Universomamma.it (Adobe Stock)

La plastica è ovunque. Come sappiamo l’inquinamento di questo materiale, pratico ma dannoso, è talmente pervasivo da aver contaminato anche la catena alimentare. Il problema non sono solo i sacchetti o gli oggetti di plastica che hanno invaso mari e oceani, con gravissimi danni all’ecosistema, ma anche le minuscole particelle di plastica, microplastiche o nanoplastiche, che vengono disperse dagli oggetti rilasciati nell’ambiente o che provengono anche da altri prodotti o sostanze, perfino impensabili, come i prodotti cosmetici.

Le microparticelle di plastica sono state trovate anche nell’organismo umano, provenienti dal cibo ingerito, soprattutto pesce, ma anche dall’aria che respiriamo, anche questa contaminata.

Alcuni giorni fa vi abbiamo segnalato uno studio che metteva in guardia dal rischio di ingestione di migliaia microparticelle di plastica quando si beve tè o caffè caldo dai bicchieri di plastica o di carta (plastificata per trattenere i liquidi).

Ora un nuovo studio, ancora più sconvolgente, ha trovato microparticelle di plastica anche nella placenta umana. La scoperta viene da uno studio italiano. Ecco cosa bisogna sapere.

Plastica nella placenta umana: la scoperta in uno studio italiano

La plastica è stata trovata negli ultimi anni negli alimenti e bevande, nel sale, contaminati da inquinamento di microparticelle disperse nell’ambiente, fino a raggiungere l’organismo umano, attraverso la catena alimentare. Una nuova scoperta, ancora più scioccante, ha trovato microplastiche anche nella placenta umana.

La scoperta è avvenuta con uno studio scientifico condotto dall’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dall’Università Politecnica delle Marche di Ancona, pubblicato sulla rivista Environment International con il titolo “Plasticenta: First evidence of microplastics in human placenta“, “Plasticenta: prima evidenza di microplastiche nella placenta”.

I ricercatori hanno perso in esame sei donne sane di età compresa tra i 18 e i 40 anni e con gravidanze normali, che hanno dato il consenso allo studio della loro placenta. Attraverso la microspettroscopia Raman, una sofisticata tecnica di analisi che si basa sulla radiazione elettromagnetica, gli scienziati hanno analizzato tutte le porzioni della placenta delle donne esaminate e in tutte hanno trovato delle microplastiche.

La strumentazione per la spettroscopia Raman è stata messa a disposizione dal Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente della Politecnica delle Marche, con la collaborazione della dottoressa Elisabetta Giorgini.

Grazie a questo sistema, i ricercatori hanno scoperto nelle placente delle donne 12 frammenti di materiale artificiale, particelle tra i 5 e i 10 micron, della grandezza di un globulo rosso o di un batterio. Di questi 12 frammenti, 3 sono stati identificati come polipropilene (il materiale usato per le bottiglie di plastica e per i tappi), mentre gli altri 9 erano materiale sintetico verniciato.

Quando hanno saputo i risultati di queste analisi, le mamme coinvolte nello studio sono rimaste scioccate. Lo stesso è avvenuto anche per gli scienziati, nonostante siano più preparati a fare scoperte fuori dal comune. Antonio Ragusa, primo autore dello studio e direttore Uoc ostetricia e ginecologia Fatebenefratelli, ha commentato: “Quello che abbiamo trovato è inquietante e come scienziato l’ho cercato, ma non avrei mai voluto trovarlo“. Come riporta Il Corriere della Sera.

Qual è la provenienza di questi frammenti di microplastiche e come sono arrivati fino alla placenta? Secondo gli studiosi queste minuscole particelle di plastica possono venire dai cosmetici, dallo smalto per le unghie, dal gesso, dal dentifricio e dalle creme per il viso e per il corpo. Così potrebbero essere state contaminate le mamme e di conseguenza aver contaminato anche la placenta.

L’ulteriore problema è le microparticelle di plastica sono state trovate in tutte le parti della placenta: quella materna, quella fetale e nelle membrane amniocoriali, che  racchiudono il feto e il liquido amniotico.

I 12 frammenti di microplastiche erano così distribuite:

  • 5 nella placenta fetale, quella attaccata al feto e che è parte integrante del feto,
  • 4 in quella materna, quella attaccata all’utero,
  • 3 nelle membrane amniocoriali, che avvolgono il feto.

In queste parti di placenta, le microplastiche erano ovunque, hanno spiegato gli autori dello studio. Gli scienziati non hanno cercato le nanoplastiche, frammenti ancora più piccoli di plastica, che avrebbero molto probabilmente trovato, anche in quantità ancora più superiori. Come accaduto in altri studi scientifici.

Sebbene non siano ancora noti gli effetti delle microparticelle di plastica nell’organismo umano, i ricercatori sospettano che possano compromettere il sistema immunitario (o quello endocrino come già rilevato in altri studi, ad esempio quelli sul Bisfenolo A, sostanza contenuta nei materiali plastici per gli oggetti di uso alimentare).

Ragusa ha parlato addirittura di “bimbo cyborg: non più composto solo da cellule umane, ma misto tra entità biologica e entità inorganiche“.

Il problema possono essere gli effetti a lungo termine di questa contaminazione di microplastiche. Al momento non sono state rilevate malattie del feto. Tuttavia, come hanno spiegato i ricercatori, diversi studi internazionali hanno dimostrato che quando le cellule lipidiche entrano a contatto con la plastica cambiano il metabolismo dei grassi.

Infine, la risposta alla domanda: come c’è finita la plastica nella placenta? Potrebbe essere che le donne incinte hanno ingerito microparticelle di plastica da alimenti già contaminati o anche dalle confezioni di plastica che contengono i cibi. Inoltre, come abbiamo detto sopra, microplastiche sono disperse anche nell’aria, quindi anche attraverso il respiro, specialmente in zone molto inquinate, può essere avvenuta la contaminazione.

Serviranno ulteriori studi per analizzare questo fenomeno e i suoi effetti.

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(Foto: iStock)

Che ne pensate unimamme dei risultati di questo studio?

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