La violenza ostetrica rappresenta una problematica grave e diffusa, che colpisce un numero allarmante di donne durante uno dei momenti più significativi della loro vita: il parto.
Secondo un’indagine condotta da Doxa e OVOItalia, relativa agli anni dal 2003 al 2017, il 21% delle madri in Italia ha dichiarato di aver subito una forma di violenza ostetrica.
Questo dato equivale a circa un milione di donne che hanno percepito come umiliante o lesiva l’assistenza ricevuta durante il parto.
Il problema non si limita al contesto nazionale ma è riconosciuto a livello internazionale, tanto che nel 2019 il Consiglio d’Europa ha promosso una risoluzione per garantire il rispetto della dignità e dei diritti delle donne in gravidanza e durante il parto. Anche la Spagna ha recentemente annunciato l’intenzione di riconoscere la violenza ostetrica come forma di violenza di genere.
Per affrontare efficacemente questa problematica è necessario intervenire su più fronti. Paola Pileri, dirigente medica specialista in Ginecologia e Ostetricia, sottolinea l’importanza di un cambio culturale che favorisca una comunicazione serena ed efficace tra operatori sanitari, partorienti e famiglie. È fondamentale lavorare sulla formazione del personale sanitario riguardo le pratiche più corrette basate sulle evidenze scientifiche.
Violenza ostetrica
Le cosiddette “cure amiche della mamma“, promosse dall’Unicef e dall’OMS, rappresentano un modello da seguire per garantire alle donne un’accoglienza rispettosa durante il travaglio e il parto.
Tra le raccomandazioni principali vi sono la garanzia di un ambiente tranquillo, la possibilità per la donna di essere accompagnata da una persona scelta da lei stessa durante tutte le fasi del parto, la libertà nella scelta delle posizioni più comode e metodi alternativi per alleviare il dolore.
Pileri evidenzia anche l’importanza della corretta comunicazione tra personale sanitario e pazienti. Le parole utilizzate possono avere un impatto significativo sulla percezione dell’esperienza del parto da parte delle donne. È cruciale evitare espressioni freddamente tecniche o colpevolizzanti che possano lasciare segni profondi nelle pazienti.
Un altro aspetto fondamentale riguarda il consenso informato: ogni procedura dovrebbe essere spiegata dettagliatamente alla donna coinvolgendo attivamente sia lei sia eventualmente anche il partner nelle decisioni relative alla gestione del travaglio e del parto.
Per migliorare ulteriormente l’approccio alla nascita è necessario pensare a percorsi personalizzati che tengano conto delle specificità individuali delle gravidanze a basso o alto rischio. Inoltre, Pileri suggerisce l’importanza dell’intervento sul territorio attraverso servizi dedicati alle future madri (e padri) per prepararli adeguatamente al momento del parto riducendo ansie ed incertezze.
Infine, è essenziale dare credito alle testimonianze delle donne che denunciano esperienze negative legate alla violenza ostetrica; solo così sarà possibile implementare strategie efficaci volte a migliorare non solo le pratiche mediche ma anche i rapporti umani all’interno degli ospedali.