“Nel cellulare di mio figlio ho trovato l’inferno”: la chat di Whatsapp

Chat Whatsapp
Chat Whatsapp. Credits: iStock

Parla la mamma che ha denunciato gli orrori della chat di Whatsapp nella quale adolescenti si scambiavano foto e video osceni e violenti.

Qualche giorno fa la Procura della Repubblica di Siena ha comunicato che dei ragazzi adolescenti avevano creato o facevano parte di una chat nella quale si scambiavano foto o video pedopornografici e di violenza su ebrei, malati e bambini. Un orrore che ha coinvolto 25 ragazzi di cui sedici minorenni tra i 13 e i 17 anni. Quelli imputabili sono indagati per detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico, istigazione all’apologia di reato avente per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali.

Per fortuna, la chat di Whatsapp è stata scoperta grazie alla denuncia di una mamma che, controllando il cellulare del figlio 13enne, ha deciso di raccontare tutto ai Carabinieri.

“Nel telefono di mio figlio ho scoperto l’inferno”: nessuno ha voluto denunciare la chat di Whatsapp

Alla Stampa, la donna visibilmente scossa ed amareggiata, ha raccontato cosa è successo dopo aver scoperto la chat di Whatsapp, chiamata “The shoah party“: “Mi è crollato il mondo addosso. Ero sconvolta dai video pedopornografici che ho trovato sul telefonino di mio figlio tredicenne.

Poi continua a raccontare le terribili immagini che gli adolescenti si scambiavano nella chat: “Lo scorso aprile ho controllato il telefono di mio figlio. Tra me e mio figlio c’è un accordo: può usare il cellulare solo a patto che io lo possa controllare. Mi ha attirato il nome della chat che ho subito aperto. In un video ho visto due bambini, sotto i 10 anni, che avevano un rapporto omosessuale. Nell’altro un incontro a tre tra due maschi e una femmina, anche loro di età inferiore ai 10 anni. E poi c’erano video di violenza e soprusi su ebreimalati e bambini. Senza contare che ogni messaggio iniziava con una bestemmia“.

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A seguito del ritrovamento di queste oscene immagini e video, la donna ha chiesto spiegazioni al figlio il quale ha affermato che è stato “costretto” ad accettare di entrare in chat perché i continui inviti gli bloccavano il cellulare impedendogli di usarlo.

La mamma ha deciso di coinvolgere anche i genitori dei compagni di scuola del figlio: “Mi ha spiegato di aver aperto solo i primi due video che gli erano arrivati e di aver archiviato gli altri. Così ho scritto immediatamente sulla chat di classe, che ho con gli altri genitori, avendo riconosciuto alcuni compagni di scuola coinvolti nella chat. Gli altri genitori però hanno risposto con indifferenza: “Nessuno ha voluto denunciare. Non so se per vergogna o cos’altro. Mio figlio in questa vicenda risulta un testimone, non è indagato. Ma io comunque non mi sarei fermata in ogni caso. Non solo perché ritengo che sia un dovere civile sporgere denuncia, ma anche perché non si può accettare che dei ragazzini divulghino oscenità e appelli in nome di Hitler o della Jihad. È assolutamente inconcepibile”.

Poi conclude: “Non mi permetto di guardare in casa d’altri. Ma i genitori devono fare i genitori e controllare i propri ragazzi”.

A seguito dell’indagini i Carabinieri hanno rintracciato gli amministratori del gruppo che sono tutti residenti nella provincia di Rivoli. Mentre sono state perquisite case in 13 province tra Toscana, Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Calabria.

Alla fine degli accertamenti, sarà valutata anche la capacità di potestà genitoriale nei confronti dei figli indagati ed un probabile intervento anche degli assistenti sociali.

Voi unimamme eravate a conoscenza di queste dichiarazioni? Controllate il cellulare o gli altri dispositivi elettronici che hanno delle chat dei vostri figli? Cosa avreste fatto al posto della mamma del 13enne?

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