I nostri figli non sono veri “nativi digitali”: poche competenze e tanti rischi

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Una ricerca realizzata dal Tech and Law Center, un centro di ricerca, e dalla cattedra di informatica giuridica dell’Università Bicocca smonta il mito della competenza informatica giovanile.

I nostri figli si connettono in modo trasparente, visibile. Crescono in mondo dove non sanno, percepiscono la rete come fosse l’aria e così non alimentano la curiosità; non smontano, non costruiscono, non sperimentano.

Quanto ne sanno di tecnologia i “nativi digitali”?

I giovani delle scuole primarie e secondarie sono generazioni nate in un mondo con Internet. Vivono la tecnologia degli smartphone, dei tablet e delle playstation come elementi naturali della propria esistenza. E noi genitori, li vediamo interagire con questi apparecchi credendoli dotati di chissà quali competenze informatiche. La realtà è ben diversa.

Guardiamo alcuni dati della ricerca svolta dall’Università Milano-Bicocca nell’ambito del progetto “Security of the digital Natives”, e prendendo come campione oltre 1000 studenti di  20 università italiane:

  • il 75% degli studenti utilizza quotidianamente lo smartphone per connettersi alla rete, mentre l’85% lo utilizza per istant Messaging (WhatsApp, per intenderci).
  • li 25% soltanto lo utilizza per i videogiochi on line o altri tipi di app (l’esigenza primaria è quella di comunicare, anziché giocare)
  • l’82% ritiene le proprie conoscenze informatiche discrete, mentre una volta svolto uno specifico questionario la percentuale cala al 66%.

Un’errata percezione dimostrata dal fatto che più del 40%

  • non utilizza un PIN per il proprio dispositivo mobile,
  • non effettua mai un log out appena finito di usare un’applicazione
  • e usa lievi variazioni della stessa password per le diverse applicazioni

mentre il 20% non effettua una cancellazione sicura dei dati nel caso in cui venda o presti il suo smartphone.

Inoltre:

  • il 60% degli studenti si connette alle applicazioni (anche quelle non presenti negli store ufficiali) attraverso il log di Facebook o di Google
  • il 61% non è preoccupato della sicurezza dei dispositivi mobili, o lo è poco.

“I giovani non percepiscono internet come un’infrastruttura di base, alla quale ci si deve collegare prima di poter “navigare”. Vedono solo i servizi commerciali che la rete veicola, interagiscono con quei servizi toccando un’icona separata dalle altre. E proprio questa separazione grafica è diventata un ghetto mentale. Non hanno la minima percezione del consumo di banda; guardano e riguardano i video dei loro idoli in streaming, scaricandoli sempre e non salvandoli localmente. Non scrivono mai un’e-mail, ma inviano sterili messaggi tramite facebook o WhatsApp. Si scambiano foto intime tramite Snapchat, convinti che le immagini vengano davvero cancellate per sempre dall’applicazione e che non siano recuperabili A parlare di polli da batteria e non di nativi digitali è Paolo Attivissimo, che si occupa di sicurezza informatica e va spesso nelle scuole primarie a insegnarne le basi. Fa un esempio che aiuta a capire: durante un incontro con gli studenti di una scuola ha chiesto se qualcuno dei presenti navigasse su internet, e uno dei presenti ha risposto di no, specificando che lui vede solo video su youtube. E nessuno dei presenti si è permesso di correggerlo.

E con i ventenni non va meglio, come si evince dalla ricerca della Bicocca. E tutto questo rende più complicato, rispetto al passato, l’apprendere il funzionamento dei dispositivi e delle tecnologie di uso quotidiano. I cosiddetti “nativi digitali” sono dei semplici utenti, non sanno sviluppare un software, non sanno cosa sia un sistema operativo, non sanno riconoscere una login fasulla guardando l’URL e, men che meno, sanno cosa sia l’URL.

Insomma, cari Unigenitori, non basta mettere in mano un tablet ai nostri figli, per farli diventare esperti informatici. Voi che ne pensate di questo loro utilizzo poco consapevole della tecnologia? Come pensate si debba intervenire?

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