La disgustosa bufala dei bambini malati sui social network

Immagine di un neonato sfocata. In sovraimpressione le scritte "una condivisione due preghiere", "un mi piace una preghiera"

Cosa può esserci di più basso della strumentalizzazione di un bambino?

Cosa può essere peggiore dell’utilizzo, a fini personali, della malattia, della morte, del dolore?

Che l’uomo possa essere, incomprensibilmente, senza scrupoli, non va nemmeno spiegato, basta accendere la tv e sintonizzarla su un telegiornale per essere informati delle cronache più raccapriccianti.

Ma anche in una realtà che pare abbia fatto della sofferenza un modo per alzare l’audience, in cui le immagine più cruente ci vengono proposte mentre stiamo infilzando la forchetta nel pasto fumante, e dovremmo avere stomaci di ferro e fegati d’acciaio, certe storie raccapriccianti a qualcuno fanno venire ancora la pelle d’oca.

La bufala (come tanto altro, forse troppo), stavolta corre sui social network.

E’ una storia che ci viene raccontata dal sito Hoax-slayer.com, specializzato proprio nello smascherare truffe di questo genere. Molti di voi avranno visto, sulle bacheche dei vostri amici o in gruppi, delle foto di bambini malati con la scritta “se hai un cuore condividi“,o “voglio vedere quanti metteranno mi piace“.

Altrettanti di voi si saranno chiesti come un like su Facebook o una condivisione in più avrebbe potuto aiutare tangibilmente questi bambini sfortunati.

Tra queste immagini qualcuno sarà incappato nella triste storia, fotografica e scritta di Sam, un neonato affetto da  Ittiosi Arlecchino, una rara e grave disfunzione congenita della pelle, il più delle volte letale. Anche qui, nella storia di Sam, veniva chiesto aiuto tramite condivisioni (che secondo l’indegno ideatore della truffa avrebbero avuto il valore di due preghiere) e “like” (che di preghiera ne valeva soltanto una).

Scopo della truffa: ottenere più condivisioni e espressioni di gradimento possibile, a fini promozionali, per altre pagine, e lucrativi, in termini economici insomma.

Sam è deceduto, in realtà, nel 2010. L’immagine che è stata riportata sui social network è stata tratta dal sito della fondazione per la ricerca sull’Ittiosi fetale, a lui dedicata: la Samuel Hardgrave Harlequin Ichthyosis Research Trust (Shhirt).

Purtroppo, questa storia raccapricciante, è solo esemplificativa di quello che circola in rete. Talvolta vengono chieste anche donazioni pecuniarie in allegato alle foto strumentali dei bambini malati.

Fate attenzione, dunque:

  • fidatevi soltanto se la pagina è stata fondata da familiari,
  • verificate se la storia è reale o se è stata inventata.

E sappiate che una condivisione sulle vostre bacheche o un “mi piace”, purtroppo, non salva la vita di nessuno, ma a volte arricchisce chi ha il fegato di speculare sulla sofferenza.

 

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