“Se colpissi mio figlio con un pugno?”: i pensieri terribili di un papà

Si parla spesso di depressione post partum materna, ma quello che non si dice è che colpisce anche gli uomini: in Italia la percentuale è dell’11%.

Eppure è un fenomeno taciuto, e spesso le famiglie e i neo papà si ritrovano soli e spaventati di fronte a qualcosa che non si riesce a spiegare.

Lo sa bene Louis Dunn, papà inglese di 27 anni, che credeva che la paternità sarebbe stata un’esperienza solo esaltante, ma così non è stato. A raccontarlo è lui stesso in una lettera aperta.

La depressione post partum spiegata da un papà che l’ha vissuta 

Louis è diventato papà di Frankie il 27 ottobre 2015, si legge sul Mirror.

C’è stato un momento allarmante dopo che è nato – Daisy mia moglie stava sanguinando parecchio e sembrava di essere in una scena di Casualty, in cui molte persone l’hanno attorniata per capire che cosa stesse succedendo. Daisy era tranquilla, così ho tenuto Frankie e mi è passato per la mente che l’avrei persa e che sarai diventato un papà single. Fortunatamente, Daisy ha sofferto di una brutta lacerazione piuttosto che di un’emorragia, così non era pericoloso, e presto sono stato in grado di far uscire questi pensieri dalla mia mente. 

Daisy e Frankie sono arrivati a casa un paio di giorni dopo e abbiamo cominciato la nostra routine. Mentre Daisy riposava, io guardavo i film di James Bond con Frankie che dormiva nella sua culla. Poi lo portavamo entrambi fuori per una passeggiata. Eravamo entrambi felici ed eccitati di fare il necessario come genitori.  

Così la prima volta che sono uscito da solo senza Frankie, quando aveva 3 settimane, ho avuto un pensiero intrusivo, una spiacevole, involontaria immagine che mi ha molto spaventato. Stavo andando al negozio di biciclette quando ho pensato: “E se venissi colpito da una macchina?” Il mondo improvvisamente è diventato molto pericoloso e ho sentito una fitta di ansia. Ho sofferto di ansia per tutta la vita, ma ho chiesto aiuto e ho preso degli antidepressivi, così pensavo che fosse sotto controllo.

I pensieri hanno cominciato ad essere più mostruosi ogni giorno: “E se la copertina di Frankie lo soffocasse?”: questo è un pensiero che tutti i genitori hanno, ma è diventato il pensiero di me che divenivo fisicamente violento e che uccidevo questo figlio di cui invece ero completamente innamorato. 

Sapevo che non l’avrei fatto, ma più tentavo di bloccare questi pensieri, più diventano sempre più neri. Il mio subinconscio mi stava spingendo a chiedere aiuto? Non lo so, ma più cercavo di ignorarli, peggiori erano. Era come ignorare un elefante rosa nella stanza. 

Uno era: “Se lo butto sul pavimento e lo schiaccio con le mie ginocchia? ” e un altro “Se lo colpisco in testa?” Ho cominciato ad essere ossessionato dai coltelli e ho pensato di raccoglierli tutti e di metterli fuori casa in un posto più sicuro. Ero spaventato dal fatto di prenderne uno e di usarlo. 

Il pianto di notte di Frankie è stata la molla. Era molto più spaventoso nel buio e davvero credevo di potergli fare del male. Stavo lavorando per una caritas, e al lavoro un giorno non ho smesso di piangere, così mi sono fatto dare un numero di supporto per chiedere aiuto. Ho chiamato e mi è stato detto che come neo papà le mie ansie erano comprensibili, ma questo sembrava più che ansia. 

Ho cominciato a leggere di depressione post natale e uno dei sintomi era di poter far male al proprio figlio. Accade a moltissimi genitori, ma questo non mi ha fatto sentire meglio. Era tremendo: odiavo quei pensieri e anche se sapevo che altri li avevano, mi sentivo colpevole per averli anch’io. L’ho detto a Daisy e lei mi ha supportato nel prendersi cura di Frankie.

Ogni cosa è esplosa quando Frankie aveva 3 mesi. Una notte stava piangendo e mi ha chiesto di prenderlo. Io ho detto: “Non posso non posso. Tutti quei pensieri erano nella mia testa”. Lei è scattata e ha detto che non poteva affrontare tutto questo. 

Una psichiatra mi ha diagnosticato un disturbo ossessivo compulsivo, attivato dal fatto di essere diventato papà. Ho cominciato a vedere uno psicoterapista che mi ha aiutato e ho continuato con gli antidepressivi. Ho parlato con Bluebell, un’associazione che si occupa di depressione post natale a Bristol che mi ha dato uno spazio senza giudizi per parlare. Mi sentivo lo stigma per la mia ansia e colpevole per il fatto che quello doveva essere un momento felice.  

Ho poi cominciato anch’io ad aiutare padri in difficoltà. Ho fornito un supporto ai padri che come me sono stati sopraffatti dalla paternità. Bluebell mi ha dato un percorso di counselling di base e sono stato supervisionato da uno psichiatra che era lì per parlare di casi difficili. Inoltre, l’amministrazione locale mi ha fornito un training in salvaguardia della sicurezza dei bambini piccoli.  

Daisy e io siamo stati separati due settimane. Era sollevata quando sono tornato, ma mi ha chiesto se fossi in grado di aiutarla e di supportarla. Quando le medicine hanno cominciato a funzionare, la terapia ha iniziato ad aiutare, gradualmente mi sono sentito meglio.

Il mio obiettivo era quello di prendermi cura di Frankie da solo e quando Daisy è tornata al lavoro quando Frankie aveva 11 mesi, ce l’ho fatta. Essere in grado di prendermi cura di lui da solo mi ha fatto sentire libero. Quando Frankie mi dà un grosso abbraccio, so che si fida di me e che mi ama: è tutto quello che come papà posso chiedere”. 

E voi unimamme? Avete vissuto in famiglia delle storie simili?

Intanto vi lasciamo con il post che approfondisce il problema della depressione post partum dei papà, che mostrano sintomi diversi dalle mamme.

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