Violenza ostetrica: un problema diffuso anche in Italia

violenza ostetrica
Violenza ostetrica (iStock)

Violenza ostetrica: un problema diffuso anche in Italia, molto più di quanto si pensi.

Vi abbiamo parlato in più occasioni della violenza ostetrica, ovvero di quell’insieme di trattamenti inappropriati e irrispettosi della dignità e integrità psico-fisica della donna in gravidanza, durante parto, nel post-parto e allattamento, ma soprattutto nel momento più delicato del parto. Si tratta, nello specifico, di umiliazioni, abusi fisici e psicologici, gesti irrispettosi, procedure imposte alla donna o effettuate senza informarla da parte del personale sanitario. Atti piccoli o grandi che possono traumatizzare una donna tanto da farle decidere di non partorire più nello stesso ospedale o addirittura scegliere di non avere altri figli.

Il trauma della violenza ostetrica può essere profondamente segnante, solo negli ultimi anni si è diffusa una sensibilità al riguardo e una maggiore consapevolezza, grazie anche alle denunce delle donne che hanno iniziato a parlare e raccontare le loro esperienze traumatiche. In Italia tutto è partito con la campagna #BastaTacere, nata nel 2016 insieme all’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica per incoraggiare le donne a uscire dal silenzio e sensibilizzate l’opinione pubblica. Alla campagna è dedicata una pagina Facebook, sempre aggiornata.

Nel 2017, una ricerca voluta dall’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica e condotta dalla Doxa aveva stimato che negli ultimi 14 anni almeno 1 milione di mamme italiane, circa il 21%, sono state vittime di una forma di violenza ostetrica, o fisica o psicologica, durante la nascita del loro primo figlio. Un’esperienza che le ha segnate così profondamente da non volere una seconda gravidanza.

Lo scorso aprile, invece, l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica ha lanciato una nuova campagna, What women want, che durerà per tutto il 2018 e con la quale si chiede alle donne cosa vogliono che cambi nell’assistenza sanitaria in tutte quelle fasi che riguardano la vita di una donna: dalla gravidanza alla menopausa, considerando tutti gli aspetti della salute femminile. Un modo per permettere alle donne di far sentire la propria voce.

Lo scorso maggio è uscito uno studio sulla diffusione della violenza ostetrica in Italia. Un tema che ha fatto subito discutere suscitando la reazione dei ginecologi ed ostetrici italiani.

Violenza ostetrica in Italia: uno studio che sta facendo discutere

Il tema della violenza ostetrica da un paio di anni è emerso con forza anche in Italia. Si riferisce a quei comportamenti irrispettosi e agli abusi fisici e psicologici che le donne possono subire in ospedale da parte del personale sanitario, soprattutto durante il parto.

La violenza ostetrica fino ad alcuni anni fa era un problema associato in particolare ai Paesi in via di sviluppo e come tale riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della Sanità, parlando di mancanza di rispetto e abuso durante il parto.

Minore la propensione a considerare il problema della violenza ostetrica nei Paesi ricchi e in Italia. Eppure abusi e comportamenti irrispettosi sono presenti anche da noi e non sono pochi. Uno studio italiano che affronta questo problema è stato pubblicato lo scorso maggio sullo European Journal of Obstetrics & Gynecology and Reproductive Biology

Lo studio è stato condotto da Claudia Ravaldi dell’associazione CiaoLapo Onlus, in collaborazione con l’associazione La Goccia Magica, l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica (OVOItalia) e il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Roma Tre, ed è basato sul sondaggio realizzato dalla Doxa. Il lavoro si inserisce all’interno della campagna “#Bastatacere: le madri hanno voce” e vuole indagare la diffusione di cattive pratiche, abusi e problemi (interpretati rispettando la definizione di violenza ostetrica formulata dall’Oms) nelle sale parto italiane. Le domande del questionario sono state rivolte a 424 donne con figli di età compresa tra zero e 14 anni.

Dalla ricerca, come abbiamo già detto, è emerso che in Italia almeno 1 milione di donne ha subito una qualche forma di violenza ostetrica, il 21% del campione intervistato.

Tra le donne che hanno risposto alle domande del questionario, inoltre:

  • il 33% ha dichiarato che considerare inadeguata l’assistenza ricevuta durante il parto,
  • il 34,5% ha denunciato seri problemi di privacy o di fiducia nel personale sanitario.

Queste esperienze negative hanno avuto le loro conseguenze.

  • il 14,5% delle intervistate non è tornata nella struttura dove ha avuto il primo parto per la seconda gravidanza,
  • il 5,9% ha addirittura accantonato l’idea di un secondo figlio a causa della pessima esperienza vissuta.

I dati raccolti nello studio servono a dare la dimensione di un fenomeno invisibile ma in realtà molto diffuso anche in Italia e sono utili anche per individuare le aree del Paese dove le partorienti sono più esposte alla violenza ostetrica. La maggior parte degli episodi e dei problemi si sono verificati al Sud e nel Centro Italia.

Inoltre, dallo studio è emerso che la probabilità di subire maltrattamenti è molto bassa nei casi in cui alle pazienti viene chiesto il consenso prima di intraprendere una determinata procedura, mentre aumenta notevolmente in caso di parti cesarei e altre procedure di emergenza eseguite senza il consenso o senza aver informato la paziente, in assenza di una comunicazione diretta e aperta tra medico e partorienti.

Gli elementi che contribuiscono a far percepire il parto come violenza ostetrica sono:

  • partorire sdraiate sulla schiena con le gambe sulle staffe,
  • l’imposizione di pratiche mediche senza la richiesta di consenso (soprattutto l’episiotomia, l’incisione chirurgica del perineo e della vagina per agevolare il parto),
  • la mancanza di un’anestesia efficace durante il cesareo o il rifiuto dell’epidurale.

Claudia Ravaldi, psichiatra psicoterapeuta fondatrice della Associazione CiaoLapo Onlus, ha riferito che secondo la ricerca Doxa “si stima che ci siano circa 1 milione di mamme italiane, con figli 0-14 anni, che avrebbero vissuto un’esperienza di violenza ostetrica durante il parto o il travaglio, momenti delicati e complessi in cui l’assistenza medico sanitaria ha un ruolo fondamentale per il benessere sia della neomamma che del nascituro”.

parto cesareo dolce

Violenza ostetrica: la risposta dei ginecologi

Allo studio sulla violenza ostetrica in Italia hanno risposto i ginecologi italiani con una lettera indirizzata agli editor dello European Journal of Obstetrics & Ginecology e al quotidiano Repubblica, che ha pubblicato i risultati dello studio. Nella lettera le associazioni dei ginecologi italiani rivendicano la professionalità dei medici e sottolineano i limiti dello studio di Claudia Ravaldi. Allo stesso tempo i ginecologi italiani annunciano un loro studio sul tema della violenza ostetrica.

Il testo della lettera:

“I Presidenti delle Società Scientifiche Sigo (Società Italiana Ginecologia e Ostetricia), Aogoi (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani), Agui (Associazione Ginecologi Universitari Italiani) e FNPO (Federazione Nazionale Degli Ordini Della Professione di Ostetrica), dopo aver letto sulla pubblicazione da lei curata il testo della dr.ssa Ravaldi e altri autori, “Abuso e mancanza di rispetto nell’assistenza al parto in Italia: un sondaggio basato sulla comunità”, portano alla sua attenzione le seguenti considerazioni.

Nella lettera in oggetto si sostiene che molte donne, durante il parto in ospedale, fanno esperienza di trattamenti che violano i diritti della persona, minacciano il diritto alla vita, alla salute, all’integrità fisica e alla libertà. Tale fenomeno viene definito “violenza ostetrica” e descritto come “l’appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario durante la gravidanza, il parto, il post-parto”. Tale affermazione è il risultato di un sondaggio condotto nel nostro Paese dalla Doxa sulla base della dichiarazione OMS in tema di prevenzione ed eliminazione di tali abusi nelle strutture ospedaliere. L’iniziativa del sondaggio è l’estensione della campagna “Bastatacere: le madri hanno voce”. Sarebbero state intervistate 424 donne che avevano partorito in un arco di 14 anni, ma non si comprende come siano state rintracciate e/o selezionate a fronte di 7.613.740 nati negli ultimi 14 anni con una media di 543.838 parti/anno (dati Istat).

In queste interviste, commissionate da Battisti, Skoko, Ravaldi, Cericco, il 21,2% delle donne (90) si considerava vittima di OV, il 33% (140) si è sentita inadeguatamente assistita, il 34,5% (87) ha segnalato gravi problemi di privacy o di fiducia, il 14,5% (60) ha deciso di non tornare nella stessa struttura sanitaria e il 5,9% (25) non ha voluto più bambini a causa del trattamento subito.

L’obiettivo dell’indagine emerge già dal nome individuato per descrivere il fenomeno: che accosta la parola “violenza” all’attributo “ostetrica”, determinando un grave effetto di allarme sociale, lesivo della reputazione dei professionisti del settore e dell’immagine del SSN.

I presunti deplorevoli comportamenti di medici e ostetriche, in realtà mai provati, suggeriscono al lettore un’ingiusta distorsione della realtà sanitaria italiana e in particolare dell’assistenza al parto e post-parto.

In particolare, si accusa il personale sanitario di praticare episiotomie e cesarei senza il consenso delle partorienti e senza alcuna preventiva comunicazione o condivisione. Anche la nota metodologica della DOXA e il documento illustrativo dei campioni utilizzati per “l’indagine sull’esperienza di parto” suscitano notevoli perplessità. A fronte di una media di 543.838 parti/anno per 14 anni (per un totale di 7.613.740 milioni di donne che hanno partorito in Italia (elaborazione dati Istat) sono state “reclutate” 424 donne, che si assume siano state intervistate senza distorsioni. Appare pertanto evidente che la procedura illustrata non assicuri né la rappresentatività del campione né l’attendibilità delle risposte.

Le stesse definizioni di VO proposte dagli intervistatori, come ad esempio “forzare una donna a sottoporsi a parto cesareo non necessario” o “forzare un’ episiotomia inutile” non tengono conto del potere-dovere dei professionisti di co-decidere, orientare le scelte delle donne, intervenire nell’urgenza, anche senza consenso, per scongiurare grave pericolo alla vita o all’integrità della persona.

L’equivoco di fondo risiede proprio nel non riconoscere che il professionista che segua supinamente la volontà della donna, perfino in contrasto con i dettami della scienza, finirebbe per mettere a rischio la salute delle persone.

Il questionario tra l’altro non è stato validato da alcuna autorità scientifica, ha coinvolto un campione non rappresentativo, e infine le domande appaiono orientate a raccogliere risposte utili ad alimentare la predetta campagna. Per meglio rappresentare la fotografia dell’ostetricia e ginecologia nel nostro Paese, le scriventi Società Scientifiche stanno procedendo a un’indagine obiettiva e metodologicamente corretta. I dati verranno forniti quanto prima e potranno offrire un quadro realistico dell’assistenza ostetrica, anche per analizzare le criticità eventualmente presenti.
Bisogna infine ricordare che la ricerca condotta dalla Doxa è nata su iniziativa dell'”Osservatorio sulla violenza ostetrica” (fondato da Alessandra Battisti ed Elena Skoko) ed è stata finanziata dalle associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo Onlus. Fra gli obiettivi delle promotrici vi è il sostegno al disegno di legge per far riconoscere la violenza ostetrica come reato, promosso dall’On. Zaccagnini e dal Sen. Romano.

Non sorprende quindi che al termine della campagna di sensibilizzazione sia sorto l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia (OVOItalia): per proseguire nella raccolta di testimonianze di violenza ai danni delle partorienti, e per cercare sostenitori delle attività di sensibilizzazione, informazione e ricerca dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica.
Augurandoci di aver contribuito a far chiarezza sull’argomento, in primis a tutela della reputazione della nostra categoria professionale e del SSN italiano, ci impegniamo fin da ora a pubblicare i risultati della nostra ricerca in corso.”

Che ne pensate unimamme? Chi ha ragione?

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