Donna picchiata e minacciata: è riuscita a salvarsi grazie ad un selfie

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Una donna è stata picchiata, minacciata e segregata in casa, inseieme alla figlia minorenne, dal compagno e convivente. Chiede aiuto con un selfie.

Una donna è stata picchiata, minacciata con un coltello e segregata in casa dal convivente. La donna è riuscita a chiedere aiuto grazie all’invio di una foto ad un operatore del centro di accoglienza nel quale, in passato, era stata ospitata.

La Polizia ha rintracciato la casa dove era stata rinchiusa la donna ed anche la figlia minorenne grazie alla localizzazione dello smartphone che era riuscita a nascondere.

L’ha picchiata, minacciata e chiusa in casa con la figlia minorenne: arrestato il compagno della donna

La vicenda è iniziata quando alla Polizia di Palermo è arrivata una segnalazione di una donna nigeriana che era stata picchiata dal compagno e convivente. Secondo una prima ricostruzione e come riportato da Palermo Today, la donna non ha avuto un passato facile per questo era stata in un centro di accoglienza: “Un centro per mamme con figli minori del Sud Italia, strappata ad un passato di sfruttamento della prostituzione. Si era fatta convincere dal convivente a seguirlo a Palermo riponendo in lui speranza di un riscatto sociale e di vita mai concretizzato”.

Le cose non sono andate meglio, l’uomo la picchiava, la minacciava con un coltello e la teneva chiusa in casa. Il tutto anche davanti alla figlia della donna minorenne, nell’ultimo episodio le violenze hanno raggiunto il culmine, come riferito dalla Polizia: “La donna è stata colpita con calci e pugni dal compagno che, inoltre, con un coltello l’aveva minacciata sostenendo che, qualora avesse allertato le forze dell’ordine, i suoi familiari in Nigeria avrebbero subito pesanti ripercussioni”.

Proprio per evitare che la compagna potesse chiedere aiuto, le avrebbe tolto la scheda dal cellulare. Per fortuna, la donna era in possesso di un secondo cellulare del quale il compagno non era a conoscenza. Ed è proprio con questo telefono che ha chiesto aiuto ad un operatore del centro d’accoglienza in cui era stata ospitata, inviando due selfie in cui mostrava il suo volto tumefatto e la maglia insanguinata.

Appena la segnalazione è arrivata agli agenti della sezione “Criminalità straniera e prostituzione della Squadra Mobile”, sono iniziate le ricerche: “Ricerche rese particolarmente problematiche dalle difficoltà comunicative per il non ottimale segnale del telefono cellulare in possesso della donna, dalla sua scarsa conoscenza della lingua italiana e dal fatto che non fosse in grado d’indicare con precisione il civico della sua abitazione”.

Fortunatamente, i poliziotti sono riusciti a far attivare la geolocalizzazione alla donna per poter inviare tramite Whatsapp la sua posizione in tempo reale.

Una volta trovato il palazzo e l’abitazione della donna, è stato necessario l’intervento anche dei Vigili del Fuoco per aprire la porta che era chiusa dall’esterno. Le due donne sono state tratte in salvo ed accompagnate in ospedale per le cure mediche necessarie.

Nel frattempo, gli agenti si sono appostati per attende l’arrivo dell’uomo, un nigeriano di 32 anni, Eugene Nwafor. Dopo un’ora l’uomo è rientrato ed è stato arresto dagli agenti per sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravati dalla presenza di minore.

Non era la prima volta che Eugene Nwafor ha avuto problemi con la giustizia. In passato, è stato arrestato più volte per detenzione, ai fini di spaccio, di sostanza stupefacente.

Dagli esami medici è emerso che la donna ha ferite guaribili in alcuni giorni ed il desiderio di andare in un centro protetto, come dichiarato dalla Questura: “La giovane vittima a cui sono diagnosticate diverse ecchimosi al volto e ferite al labbro superiore, giudicate guaribili in 10 giorni, dopo aver formalizzato la denuncia presso gli uffici della Squadra Mobile, ha espresso la volontà di essere accompagnata presso una struttura di accoglienza protetta per donne vittime di violenza. Non prima di aver ripetutamente ringraziato gli operatori di polizia per il gesto compiuto, per la sensibilità e l’affetto dimostrato nei confronti suoi e della figlioletta, accudita sino al proprio affidamento alla comunità designata”.

I centri di accoglienza anti violenza per le donne ed i loro figli sono essenziali e fondamentali per fornire un luogo dopo rifugiarsi per rimettere in sesto la propria vita aiutati da degli specialisti.

Un progetto molto importante a tal senso è quello della “Valigia di salvataggio” dell’associazione Salvamamme in collaborazione con la Regione Lazio. Come si legge dal loro sito, il progetto è rivolto a “quelle donne che subiscono violenza da parte dei mariti, compagni od ex partner. Che hanno lasciato la casa dove sono a rischio per la propria vita, prima o dopo la denuncia”. A loro si dona una “valigia di salvataggio” che contiene “beni essenziali, come abbigliamento, biancheria e prodotti per la cura e l’igiene della donna. Ogni donna ha a seconda delle sue necessità una valigia diversa”.

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Voi unimamme conoscevate questo episodio di maltrattamenti concluso, per fortuna, con l’intervento delle forze dell’ordine? Eravate a conoscenza del progetto della “valigia di salvataggio”?

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