“The tree of life”: il tentativo imperfetto di amare

Immagine del film "Tree of life": un piedino di un neonato nelle mani di un adulto

Scrivo di un film particolare, un film che mi ha molto colpito ma indubbiamente non è una di quelle opere di immediata fruizione, per come è costruito e per il tentativo ambizioso di raccontare non una storia, ma lo scontro tra “forze” : il maschile e il femminile.

Il film in questione è “The tree of life” di Terrence Malick, un film di qualche anno fa, che quando è uscito ha, come accade sempre quando un grande maestro realizza un’opera, destato grande interesse, ma anche molte critiche.

“The Tree of Life” racconta la storia di Jack O’ Brien a partire dalla sua infanzia e segue tutta la sua crescita, ma come dicevo, non è questo il punto perchè tutta la vicenda è più un flusso di coscienza, accompagnato da una musica che scorre e sostiene i quadri narrativi. E’ la storia di un bambino, di suo fratello e dei suoi genitori, di un padre severo e anche violento, e di una madre accogliente, una madre che è come la Natura, che sostiene, accompagna, una madre che ama.

La riflessione che ispira questo articolo è intorno al “materno”. La madre per come è raccontata nel film è l’incarnazione della Natura, esplosiva nel suo amore per i figli, aperta, dolce, protettiva ma che ad un certo punto viene anche pesantemente messa in discussione, disconosciuta, e accetta anche questo.

Perché ogni figlio, ad un certo punto, mette in discussione i propri genitori, ogni figlio si erge a giudice, ogni figlio non comprende del tutto chi lo cresce, le scelte o le modalità, ma forse c’è bisogno anche di questo, c’è bisogno anche che la vita scorra nel conflitto, e c’è bisogno di aver sentito che, nonostante i limiti profondissimi e umani, insopportabili o incomprensibili di chi ci ha cresciuti,  in fondo c’era l’amore incondizionato o almeno il tentativo di amare.

Al di là delle dinamiche di coppia, al di là dell’ imperfezione dei singoli.

E’ un film su quanto il nucleo familiare sia imperfetto, su quanto i conti non tornino mai, ma anche su quanto si sia provato, pur nella sofferenza, a riconoscere coloro ai quali si è data la vita.

E’ molto personale lo so, e magari non condivisibile, ma guardato con gli occhi di una figlia, riconcilia con la propria imperfetta umanità e con quella di chi ci ha cresciute.

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