Rischio trombosi nei pazienti affetti da covid: uno studio spiega il collegamento

Un team di ricercatori dell’Università di Milano ha scoperto il collegamento tra Covid e trombosi, aprendo nuovi scenari riguardo all’utilizzo di farmaci in grado di arrestare i trombi nelle arterie

Covid e trombosi

Un gruppo di ricercatori milanesi ha fatto un’importante scoperta che riguarda il meccanismo alla base delle complicazioni di natura trombotica nelle persone affette da Covid-19.

Ad annunciarlo è stata Marina Camera, responsabile dell’Unità di Ricerca di Biologia Cellulare e Molecolare presso il Centro cardiologico Monzino, con la collaborazione di Gianfranco Parati e Martino Pengo, rispettivamente dell’Istituto Auxologico Italiano di Milano e dell’Università di Milano Bicocca.

Lo studio su collegamento tra trombosi e covid

Trombosi e covidLo studio è stato pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology: Basic to Translational Science e apre nuove frontiere riguardo all’utilizzo di farmaci capaci di bloccare i trombi arteriosi. A partecipare allo studio sono stati 46 pazienti positivi al Covid-19 e ricoverati all’Ospedale S. Luca. In particolare, è stato confrontata l’attivazione delle cellule del sangue nei pazienti sani e in quelli cardiopatici.

Come ha spiegato Camera, nei casi casi gravi di covid, i pazienti vanno incontro a ipossiemia, ossia una ridotta quantità di ossigeno nel sangue, da un lato, a causa dell’infiammazione in corrispondenza degli alveoli polmonari; dall’atro, a causa della presenza di trombi di varie dimensioni nel sangue, in grado di ostruire i vasi polmonari.

Per prima cosa, si è cercato di evidenziare in che modo l’attivarsi delle piastrine, nei pazienti campionati, possa essere la causa nella comparsa dei trombi.

Quando, infatti, l’organismo subisce l’attacco degli agenti patogeni, si attiva la risposta del sistema immunitario con il successivo rilascio nel sangue di citochine infiammatorie che sono particolari proteine come, ad esempio, l’Interleukina-6.

Talvolta, la reazione risulta essere troppo esagerata dando luogo ad una  vera e propria “tempesta citochinica“.

In questi casi, peraltro, si attiva il tessuto epiteliale dei vasi sanguigni con la riduzione della produzione di prostaciclina e anche di ossido nitrico. In questo contesto, le piastrine sono fuori controllo.

Le cose si complicano quando monociti e granulociti, prodotti dal midollo osseo, si attivano rilasciando delle “microvescicole” ad alto “potenziale protrombotico”.

Successivamente, ha spiegato il ricercatore Gianfranco Parati, le piastrine attivate “si aggregano con i granulociti e monociti circolanti e, insieme con le microvescicole, concorrono alla formazione dei microaggregati che possono ostruire il microcircolo polmonare“.

Secondo le ricercatrici Paola Canzano e Marta Brambilla, nello studio è stata riprodotta l’attivazione delle piastrine registrata nei pazienti affetti da Covid, facendo interagire le cellule del sangue di pazienti sani con quelle dei pazienti positivi.


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In questo modo, si è potuto dimostrare che le anomalie del sangue nei pazienti affetti da covid non sono da considerare una conseguenza del virus, ma della tempesta di citochine causata, in particolare, dall’eccesso di interleukina-6.

Secondo l’esperta Marina Camera, inoltre, questo studio riesce anche a dare una spiegazione sul perchè il Tocilizumab è in grado di evitare l’attivazione delle piastrine. Esso, infatti, agisce contro il recettore dell’interleukina-6. Di conseguenza, l’uso di Tocilizumab deve avvenire unicamente nei pazienti che presentano elevati quantità di questa proteina.

L’uso dell’aspirina per ottimizzare la terapia contro il covid

Camera, ha concluso, evidenziando l’aspetto più importante messo in luce dallo studio. Da questo, infatti, emerge che in tutti i pazienti positivi al Covid, la terapia può essere ottimizzata includendo uno degli anti-aggreganti più diffusi, ossia l’Aspirina.

Attualmente, infatti, le terapie previste contemplano l’utilizzo di Eparina, anticoagulante che solitamente è indicato in caso di trombi venosi, conseguenti all’allettamento prolungato o all’assenza di attività fisica.


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In altre parole, stando all’attivazione delle piastrine messa in evidenza dallo studio in questione,  i ricercatori suggeriscono l’utilizzo specifico di un farmaco antiaggregante.

Unimamme avete capito tutto? Cosa ne pensate di questo importante studio condotto dal team di ricercatori milanesi?

 

 

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